Chi l'ha detto che i dialetti muoiono In Italia si insegnano a scuola
Chi ha detto che i dialetti sono lingue morte? I numeri ci dicono che in Italia il 32,6 per cento delle persone li parla insieme all’italiano, con punte che arrivano al 75,2 per cento in Campania. Addirittura ci sono 8 milioni di persone che parlano in netta prevalenza la loro lingua locale. E non sono solo anziani, anche se soprattutto anziani: c’è un 4,3 per cento di famiglie con bambini in cui il dialetto è lingua prevalente. E se Napoli (con la Sicilia a ruota) batte tutti, la Lombardia non è poi così lontana: sono ancora oltre 3 milioni le persone che, seppure sporadicamente, ricorrono a espressioni dialettali.
Sono numeri importanti e nient’affatto in discesa, perché in Italia c’è un grande voglia di tener vive queste lingue. Un contributo importante viene naturalmente dalla musica, con i tanti rapper che cantano in dialetto (i precursori sono stati i Sud Sound System). Ma anche i comici ci hanno messo del loro, com’è il caso di successo dei pugliesi Pio e Amedeo.
Il dialetto nelle scuole. Ora però c’è del nuovo: il dialetto sbarca, in ordine libero, anche nelle scuole. Le esperienze più all’avanguardia sono state fatte in Liguria, dove in Liguria sono i nonni a entrare in classe per trasmettere ai più giovani la lingua della tradizione. La regione ha infatti stanziato 20mila euro per un bando finalizzato proprio a promuovere il genovese a scuola. Il progetto affidato ad associazioni come “A Campagna” (guidata da un docente universitario, Franco Bampi), è arrivato a coinvolgere 140 classi. Si inizia dalle parole elementari e più familiari, “barba, lalla, madonava”, per dire zio, zia, nonna. E poi si va oltre.
In una scuola di Sampierdarena hanno voluto fare le cose in modo più ambizioso: si sono dati l’obiettivo di imparare il genovese traducendo Dante. Il dialetto è stato naturalmente uno dei cavalli di battaglia della Lega, ma l’ingresso nelle scuole è avvenuto per lo più per altre ragioni. Come ha spiegato Pietro Maturi, docente alla Federico II di Napoli, «molti dialetti italiani, come il napoletano, il siciliano, il veneziano, il milanese e il romanesco, hanno avuto e hanno una ricchissima produzione di poesia, canzone, spettacolo, teatro, cinema». Quindi conoscerli significa anche capire e far proprio un pezzo del patrimonio culturale.
Esperienza d’avanguardia è quella della scuola Fogazzaro di Trissino, nel Vicentino: qui 111 allievi stanno sperimentando da poche settimane lezioni di dialetto veneto. Sono lezioni che si agganciano anche alle altre materie, tant’è vero che si è iniziato dalla mitologia, con la storia di Antenore il leggendario fondatore di Padova. E il dialetto diventa anche un ponte per approdare ad una metabolizzazione delle lingue straniere, come ha spiegato il prof di dialetto Alessandro Mocellin. Un esempio? Il francese “je suis en train d’aller” (sto andando) ha un corrispettivo dialettale in “mi son drio andar”.
Anche Bergamo si muove. Le prime esperienze sono state varate alle medie di Villa d’Adda e all’istituto Betty Ambiveri di Presezzo. «I risultati sono soddisfacenti», ha detto Mario Madotti, dell’Unione delle Pro Loco. In occasione della prossima giornata mondiale della Linguamadre indetta dall’Unesco (21 febbraio) il sistema bibliotecario Valle Seriana ha lanciato un concorso/festival dedicato alla lingua di appartenenza. Il titolo è tutto un programma: Tirafuorilalingua.