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L’Iraq e i brogli delle ultime elezioni Con risultati del tutto a sorpresa

L’Iraq e i brogli delle ultime elezioni Con risultati del tutto a sorpresa
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Brogli: questa l’accusa che ha portato l’uscente Parlamento iracheno a decidere per il riconteggio manuale delle schede delle elezioni svoltesi il 12 maggio scorso, che avevano dato la vittoria a Moqtada al-Sadr, figura di spicco del clero sciita, guida di milizie che più volte hanno fronteggiato gli Stati Uniti e la comunità sunnita. Proveniente da una famiglia molto nota e con vari parenti (tra cui l’ayatollah Mohammed Baqir al Sadr) uccisi dal regime di Saddam Hussein, al-Sadr si è impegnato fin da giovane nell’organizzazione della resistenza irachena contro i soldati americani nel paese, sviluppando una milizia strettamente legata all’Iran. Il suo esercito si è reso responsabile, negli anni Duemila, di alcune delle violenze più efferate contro i sunniti. La vera svolta nella carriera politica di al-Sadr è avvenuta recentemente, nel luglio 2017 quando ha fatto un viaggio in Arabia Saudita, principale nemico dell’Iran. È stato allora che la comunità internazionale ha iniziato a capire la sua personalità complessa e capace di reinventarsi, come avvenuto alle ultime elezioni, nelle quali si è proposto leader di una forza populista basata sul principio di “Iraq first”, versione locale della politica di Donald Trump.

 

 

Le elezioni di maggio, le prime dopo la sconfitta dello Stato Islamico e le quarte dall’intervento statunitense del 2003, hanno registrato una percentuale di affluenza molto più bassa (44,5 per cento) rispetto alle tornate precedenti e hanno visto vincere – al lordo dei brogli – una coalizione populista che al-Sadr ha formato unendosi a esponenti anti-corruzione e ai militanti del partito comunista, per tanto tempo da lui stessi definiti “un gruppo di miscredenti”. Esce sconfitta la lista nazionalista di al-Abasi che, nonostante la vocazione confessionalmente trasversale e le sue finalità di equilibrio tra Stati Uniti e Iran, è arrivata solo terza alle elezioni. Se, del resto, la coalizione di al-Sadr ha ottenuto 54 seggi (su 329) la maggioranza relativa non è però garanzia di vittoria, dal momento che cruciale sarà poi la capacità del capo della coalizione vincente di formare un governo (cosa che, ad esempio, non avvenne con il premier eletto otto anni fa).

Al di là dei brogli, il problema resta quello di definire chi sia il vero vincitore di queste elezioni: se l’ascesa di al-Sadr non favorirà né Iran né Stati Uniti, allora l’unica cosa certa è che il vero sconfitto sarà l’Occidente. Qualunque sia il governo eletto, si troverà di fronte il difficile compito di gestire i rapporti con Stati Uniti e Iran, delicatissimi soprattutto dopo l’uscita degli Stati Uniti dall’accordo sul nucleare. I risultati delle elezioni, del resto, riflettono chiaramente le divisioni interne al Paese, tra i partiti sciiti, sunniti e curdi. Per quanto riguarda i curdi, il loro fronte politico si è dimostrato fortemente frammentato, minato dal mancato rispetto del referendum per l’indipendenza del 2017. Ancora più indicativa è l’incapacità delle forze sciite di trovare un accordo per presentarsi unite; risultato completamente mancato viste le cinque diverse coalizioni arrivate alle elezioni. I sunniti, invece, dopo la caduta del regime baathista di Saddam Hussein sono stati allontanati dal potere.

 

 

Dopo il riconteggio post-brogli e fermo restando la corruzione dilagante che sta portando il paese al tracollo, saranno due le variabili fondamentali per il futuro dell’Iraq, ovvero il ruolo dell’Iran e degli Stati Uniti, che nel passato hanno sempre appoggiato il primo ministro iracheno. Una posizione che, però, non si ripeterà dopo la rottura avvenuta tra i due paesi rispetto all’accordo sul nucleare. Se poi l’Iran era sempre stato un perno fondamentale attorno al quale le coalizioni sciite si erano riunite, la figura di Moqtada al Sadr e il suo cambio di rotta rispetto al regime di Tehran renderà il quadro decisamente più complesso.