Allerta ai massimi livelli

L’Italia e i sospetti terroristi

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L’allerta antiterrorismo nel nostro Paese è ai livelli massimi. L’Italia dalla fine di dicembre ha espulso nove presunti terroristi. Si tratta di cinque tunisini, un turco, un egiziano, un marocchino e un pachistano che vivevano nel Nord Italia, tra Torino e Milano. Tutte persone in regola con il permesso di soggiorno, perfettamente integrati nel tessuto sociale italiano. Presto arriveranno altre espulsioni e sono in corso accertamenti su altre persone sospette. Lo ha riferito domenica il ministro dell’interno Angelino Alfano nel corso di una conferenza stampa al Viminale in merito all’allerta terrorismo in Italia. Una vera e propria stretta quella del ministro, che dopo la conferenza stampa di domenica è intervenuto in diretta telefonica con il programma "La telefonata" su Canale 5 e ha precisato che "una Procura nazionale antiterrorismo può essere utile se lavora in squadra con le Procure distrettuali, ma non bisogna dimenticare che gran parte del lavoro su questo tema avviene a livello di intelligence e di informazioni preventive, non nei tribunali".

Le operazioni dei servizi per far fronte all’emergenza del pericolo terroristico in Italia sono quindi entrate nel vivo e il ministero degli Interni, che sta monitorando l’attività di più di cento persone sospettate di attività terroristiche, è intenzionato a stanare ogni minaccia. Quel che si sa finora sui potenziali terroristi di casa nostra è che non ci sono clandestini, né tantomeno persone infiltratesi nei flussi dei migranti che arrivano in Italia via mare, sui barconi. Si tratta invece di persone che vivono e lavorano da tempo nel nostro Paese e conducono una vita apparentemente normale. Alfano ha precisato che tra gli espulsi ci sono “anche soggetti radicalizzatisi sul web, internauti molto attivi, persone che hanno aderito all’Isis, reclutatori”. Due di loro hanno coinvolto le loro famiglie.

La black list di 300 nomi. Nei giorni scorsi si era diffusa l’esistenza di una black list di 300 nomi, i cui movimenti, specialmente quelli sul web, sono monitorati dall’intelligence pronta a intervenire e ad espellerli dal Paese per motivi di sicurezza nazionale. A spiegare dell’esistenza di questa lista all’Huffington Post Italia è un investigatore antiterrorismo. L’espulsione, in accordo con gli Stati di provenienza, è l’unico strumento a disposizione per allontanare i sospetti dal Paese e dall’area Shengen: «Si tratta di persone nei cui confronti non sono ancora mature le contestazioni per fattispecie di reato legate al terrorismo. Svolgono attività prodromiche e certamente sono persone che vanno oltre la radicalizzazione religiosa». In Italia è possibile espellere gli stranieri residenti in base all’articolo 13 del decreto legislativo 286/98, il quale prevede che qualsiasi straniero può essere espulso dal territorio italiano per motivi di ordine pubblico o di sicurezza nazionale. Le espulsioni vengono decise dal ministero dell’Interno e possono essere appellate al Tribunale amministrativo del Lazio. Gli stranieri espulsi vengono accompagnati alla frontiera dalla polizia o dai carabinieri.

L’attività dell’intelligence. Sugli espulsi e sui sospetti non sono stati divulgati né i nomi né gli identikit, ma si sa solo che non hanno niente a che vedere con la guida di moschee o centri islamici presenti sul territorio. Sono i vicini della porta accanto, che hanno radicalizzato le loro idee per darsi una connotazione precisa e per loro le istanze portate avanti dallo Stato Islamico sono motivo di orgoglio e per questo non escludono di arruolarsi tra le fila dell’Isis. Oggi i servizi, l’antiterrorismo e i Ros stanno esercitando la loro attività di monitoraggio, iniziata prima degli attacchi di Parigi, nei confronti di ambienti e persone a rischio, in particolare i luoghi di culto radicali, i predicatori itineranti, i gruppi che appoggiano la resistenza anti-Assad e agiscono da “facilitatori” per l’invio di combattenti, i siti web islamisti, i convertiti, i giovani vulnerabili alla propaganda dell’Isis.

I foreign fighters italiani. Il ministro Alfano, però, rifiuta l’etichetta di black list e ridimensiona i numeri: non si tratta di 300 sospetti ma di un centinaio. E i foreign fighters sono 59: «Cinque sono italiani partiti per la Siria, 14 sono già morti e 15 gli stranieri passati per l’Italia, mentre 25 sono collegati in varie forme al nostro Paese». I 59, ha spiegato Alfano, non si trovano in Italia, ma sono persone che «in qualche modo hanno avuto a che fare con il nostro Paese». Persone, ad esempio, che hanno risieduto qui per molto tempo poi se ne sono andate. Per questo motivo è molto importante, secondo il Viminale, avviare una rete di scambio di informazioni tra i vari paesi e una collaborazione per controllare le partenze. In particolare la Bosnia, la Turchia e l’Albania sono i paesi dai quali arrivano i rischi peggiori.

Il codice PNR. Uno dei metodi per il monitoraggio delle partenze è il PNR (Personal Number Record), una sorta di codice assegnato a ciascun passeggero che prende un aereo, per stilare una scheda individuale comprendente i dati anagrafici, le informazioni di viaggio e alcuni elementi personali potenzialmente "sensibili", come le preferenze sul pasto consumato a bordo, eventuali esigenze sanitarie o semplicemente il metodo di pagamento del biglietto. Le compagnie aeree dovranno mettere a disposizione delle forze dell'ordine il PNR. Una mossa analoga a quanto accadde negli Stati Uniti in seguito agli attacchi dell’11 settembre. L’introduzione della norma, su cui i ministri degli Esteri dell’Europa stanno discutendo in seguito ai fatti di Parigi, è sempre rimasta bloccata per la contrarietà del Parlamento europeo che teme per la protezione dei dati personali. Oggi sembra che le resistenze stiano diminuendo, e pare si stia trovando un compromesso sulla durata dello stoccaggio dei dati: tre anni invece dei cinque proposti inizialmente. Il ministro Alfano ha commentato l’introduzione della norma, che presumibilmente entrerà in vigore nel 2015, dicendo che «si rinuncia a un pezzo di privacy in cambio di un pezzo di sicurezza in più».

La denuncia del Corriere della Sera. Secondo quanto riporta il Corriere della Sera sulla base di notizie uscite dalla procura di Napoli, il capoluogo campano sarebbe un crocevia per la produzione e falsificazione di documenti destinati ai terroristi islamici. Numerose inchieste condotte dai magistrati con l'ausilio di Ros e Digos lo dimostrano. Da Napoli era passato uno dei terroristi implicati nell’attentato di Madrid; a Napoli c’era il consolato algerino e arrivarono anche appartenenti al Gruppo Islamico armato e al Fronte islamico di salvezza; a Napoli c'è stato uno dei primi casi di collaborazione con la giustizia di un aderente ad una cellula terroristica islamica, che ha permesso di ricostruire le caratteristiche delle organizzazioni terroristiche islamiche con basi in Italia. Il Corriere ha parlato con Michele del Prete, magistrato della Dda di Napoli, che per un lungo periodo si è occupato di terrorismo islamico:

«Nelle nostre indagini - dice Del Prete - già nel 2005 appare la sigla Al Qaeda nel Maghreb che poi è diventata un marchio, una sorta di network sotto cui si riuniscono vari gruppi. Noi abbiamo riscontrato che sotto questo brand agivano non solo organizzazioni ma anche singoli che magari subivano il fascino della propaganda».

Molte indagini napoletane hanno evidenziato collegamenti dei personaggi presenti nella città partenopea con Londra, la Spagna, la Norvegia, la Finlandia, il Belgio e altre città italiane tra cui Milano, Vicenza e Salerno. Non mancano tracce di contatti tra i clan della camorra e i terroristi. Secondo i cablogrammi di Wikileaks, l’FBI ritiene che il denaro della droga di ‘Ndrangheta e Camorra finanzi gruppi terroristici armati attraverso il traffico di droga.

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