Con le polemiche annesse

Il Louvre ad Abu Dhabi e gli altri Ovvero, senza soldi addio arte

Il Louvre ad Abu Dhabi e gli altri Ovvero, senza soldi addio arte
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Cosa hanno in comune Bergamo e Abu Dhabi? Il clima certamente no. Il nome di un architetto: Jean Nouvel, che ha realizzato il Kilometro Rosso e sta in questi giorni terminando nell’emirato una sede staccata del Louvre (cioè: il museo parigino ha ceduto il proprio nome in cambio di 400 milioni di euro). Jean Nouvel è in buona - anzi ottima – compagnia, perché sull’Isola di Saadiyat (Isola della felicità, in arabo) oltre al suo troveranno posto, insieme ad alberghi, versioni arabe di Gardaland e altri edifici dedicati all’intrattenimento: lo Sheihk Zayed National Museum, progettato da Foster and Partners e ideato da Norman Foster; il Guggenheim Abu Dhabi, che diventerà il Guggenheim più grande del mondo e l’unico in Medio Oriente, progettato da Frank Gehry; un centro di arti performative e dello spettacolo, progettato da Zaha Hadid, e un museo marittimo di Tadao Ando. Manca Renzo Piano - che però è di un altro giro - e la conta è finita. Vengono in mente i tempi nei quali a Firenze si potevano incontrare per strada, nel raggio di un chilometro, un chilometro e mezzo a partire dal Battistero: Leon Battista Alberti, Filippo Brunelleschi, l’Angelico, Lorenzo Ghiberti nonché Paolo Uccello, Donatello e, di tanto in tanto, altri personaggi come Jacopo della Quercia.

 

[Nelle foto: il progetto del Louvre ad Abu Dhabi di Jean Nouvel]
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E i francesi che dicono? Il caso del Louvre che presta i suoi capolavori per una somma del tutto rispettabile (si parla di 700 milioni di euro, che vanno ad aggiungersi al miliardo contemplato da accordi trentennali con altri musei della Ville Lumière) è quello che sta facendo discutere di più.

C’è chi, come il ministro francese alla Cultura Fleur Pellerin considera il temporaneo invio delle opere in partibus infidelium  un «riconoscimento alla straordinaria ricchezza e all'esperienza dei nostri musei». E chi - La Tribune de l’Art - si dice sconcertato per l’iniziativa in quanto «questi prestiti non tengono alcun conto della fragilità delle opere e dei rischi che corrono per viaggi che non hanno nessun interesse scientifico». Che non abbiano interesse scientifico non c’è bisogno di ribadirlo, perché da sempre Saadiyat Island è stata pensata come un concentrato di cultura di massa globalizzato, senza nessun’altra pretesa che quella di far affluire altri soldi in quella terra che già molti altri ne ha fatti usando il sottosuolo.

Jean Nouvel, comunque, ha rilasciato un’intervista a Beatrice Borromeo nella quale si dichiara molto tranquillo circa l’affidabilità della sede e favorevole al fatto che le opere d’arte girino per il mondo, perché tutti ne possano godere. I più importanti museologi suoi compatrioti gridano al tradimento del modello museale del loro Paese, nato dalla rivoluzione e fondato sull’idea che i beni confiscati ai potenti (monarchia, clero e casta militare) dovessero diventare patrimonio del terzo (la borghesia) e quarto stato (i proletari, i nullatenenti). Tutte cose che - non ce ne vogliano gli amici parigini - appartengono a un passato orgoglioso che non funziona più. Se il Louvre avesse calcolato di guadagnare dalla vendita dei biglietti d’entrata una cifra superiore a quella che ha concordato con gli arabi, il prestito non si sarebbe fatto, neanche se in appoggio alla tesi al momento vincente si fossero inserite altre considerazioni di carattere geopolitico o geoculturale.

Qualche altro esempio sul concetto “No money no art”. Nel frattempo, mentre la polemica ferve, nell’effervescente  Berlino la Open Walls Gallery ha pensato bene di presentare, all’interno di un contenitore chiamato Statbad (una ex piscina pubblica trasformata in location per azioni artistiche) e di un festival articolatissimo, l’installazione di un pittore francese che si fa chiamare SP38 (qui il video dell’intervista; qui un breve video di SP38 all’opera) e che ha deciso di giocare il suo à tout di artista contemporaneo e di strada variando in mille modi un’unica formula sintetica quanto inoppugnabile: NO MONEY NO ART.

A Firenze, negli anni sopra ricordati e in quelli immediatamente successivi, si verificò certamente un concentramento di cervelli di caratura superiore mai più verificatosi su una superficie così limitata e per un tempo così ristretto. Ma c’erano anche i banchieri più ricchi del mondo allora abitato. Lo ricordiamo a chi dichiara di avere in progetto un nuovo Rinascimento impoverendo al contempo la popolazione. La storia di Abu Dhabi lascia intendere che così non funzionerà.

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