Intervista a Luca Telese: «Il tribunale non ha dimostrato la colpevolezza di Bossetti»
Il noto giornalista ha seguito tutto il processo: «Perché non permettere alla difesa di analizzare i reperti del Dna? Perché smentire per tre volte la Cassazione?»
di Andrea Rossetti
«Io non penso che Massimo Bossetti sia innocente, ma va dimostrato che è colpevole. E, a mio parere, le cose non sono andate così». Luca Telese è un giornalista italiano di lungo corso, volto noto della tv, conduttore, opinionista, autore. Nella sua carriera, iniziata nei primi anni Novanta, ne ha viste tante. Ma poche volte, ammette, è rimasto sorpreso e professionalmente affascinato come nel caso del processo a Bossetti, l’uomo condannato all’ergastolo per l’omicidio di Yara Gambirasio, la tredicenne di Brembate Sopra scomparsa la sera del 26 novembre 2010 e il cui cadavere fu ritrovato il 26 febbraio 2011 in un campo a Chignolo d’Isola.
Il 3 giugno scorso, la Corte d’Assise di Bergamo ha nuovamente respinto la richiesta dei legali di Bossetti, Claudio Salvagni e Paolo Camporini, di avere accesso ai reperti del processo che si è concluso con la condanna definitiva del loro assistito. È la terza volta che il Tribunale di Bergamo respinge le richieste dei legali, tese a portare a una revisione del processo. Anche in questo caso, era stata la Cassazione a ritenere fondate le richieste di Salvagni a Camporini. Ed è inusuale che la Corte d’Assise smentisca, di fatto, per ben tre volte quanto invece stabilito dalla Cassazione. «È l’ennesima cosa “strana” di tutta questa vicenda - commenta Telese, che ha seguito tutte le udienze del processo a Bossetti e conosce profondamente il caso -. La Cassazione è una sorta di arbitro, non capisco perché la Corte d’Assise continui a negare un sacrosanto diritto alla difesa...».
Lei che idea s’è fatto?
«Difficile dare un giudizio, la pervicacia con cui il Tribunale di Bergamo respinge le richieste della difesa fa certamente sorgere dei dubbi».
La difesa chiede di poter avere accesso, in particolare, ai 54 reperti di Dna che sarebbero ancora analizzabili.
«Esattamente. Reperti che, fino a qualche tempo fa, risultavano essere stati invece distrutti».
La Procura definisce quei reperti «scartini», inutilizzabili.
«Ma non deve essere la Procura a dirlo. Sarà un giudice a deciderlo. Ma almeno si consenta alla difesa di vederli, analizzarli! Non si sapeva neppure che c’erano prima, è una cosa gravissima».
Anche perché la condanna di Bossetti si fonda sostanzialmente solo su quel frammento di Dna rinvenuto sul corpo di Yara.
«Esattamente. Tutti gli altri indizi che l’accusa aveva raccolto e portato in aula sono caduti di udienza in udienza, talvolta in maniera anche eclatante».
È questo che la porta ad avere dei dubbi sulla colpevolezza di Bossetti?
«Sì, anche perché durante il processo si sono viste e sentite cose assurde. Dall’utilizzo di kit scaduti per eseguire i test del Dna alle tante storie raccontate per fare apparire Bossetti come un losco individuo, pericoloso, quando le cose non stavano proprio così».
Cosa intende?
«La vita di Bossetti è stata scandagliata a fondo, analizzata in ogni anfratto per trovare qualcosa di torbido da usare contro di lui. Peccato che i fatti raccontassero tutt’altro».
Un esempio?
«Be’, ricorda quando era uscita la storia del Bossetti bugiardo seriale? Effettivamente, Bossetti aveva mentito al suo datore, assentandosi dal lavoro con la scusa di alcuni esami medici. Peccato che poi si scoprì che Bossetti non veniva pagato da quasi un anno e che, avendo bisogno di soldi, aveva iniziato a fare dei lavoretti per tirare fine mese. In quell’occasione, aveva mentito per poter andare a Bergamo a montare una cappa di una cucina. Aveva fatto anche fattura».
Fece molto discutere il caso del filmato diffuso dalla Procura che pareva ritrarre il furgoncino di Bossetti nei pressi della palestra da cui scomparve Yara...
«Quella fu un’udienza clamorosa. Dopo che era stato fatto girare tra i media il video, facendo intendere che si trattasse del furgoncino di Bossetti, saltò fuori che il filmato era stato realizzato a “uso dei media” e che solo un frame riguardava, forse, il mezzo dell’imputato. In realtà, grazie alla difesa, si è poi scoperto che neppure quello non era il furgoncino di Bossetti. Capisce perché poi vengono centomila dubbi? Tutti gli indizi che venivano portati si dimostravano deboli, se non addirittura nulli».
C’era però il Dna.
«Sì, che avrebbe necessitato di qualche approfondimento in più. Scoprire ora che c’erano altri frammenti genetici analizzabili è inquietante». (...)