Con le prime pagine storiche

«l'Unità» è uscita in bianco morta ammazzata, si dice

«l'Unità» è uscita in bianco morta ammazzata, si dice
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«l’Unità» ha sedici pagine bianche, oggi. Il quotidiano fondato da Antonio Gramsci cesserà le pubblicazioni a partire dal primo agosto. Cioè dopodomani. La decisione è stata presa ieri, alle ore 14, dopo una lunga riunione dell’assemblea dei soci. Il comunicato diffuso dal Cdr ha annunciato: «hanno ucciso l’Unità». La società editrice Nie (Nuova Iniziativa Editoriale S.p.a.) è ufficialmente in liquidazione, con debiti da trenta milioni di euro, e non c’è più nessuno che sia disposto a lanciare una valida àncora di salvataggio. Il Direttore del giornale, Luca Landò, muove rimproveri al Pd, che «non è riuscito a trovare una soluzione» e al premier Matteo Renzi, che a giugno ha riconosciuto la necessità di «tutelare il brand» e ha proposto di tornare a chiamare le feste del partito «feste dell’Unità», glissando sul nocciolo della questione, la sopravvivenza del giornale. Il tesoriere del Partito Democratico, Francesco Bonifazi, però, promette: «riapriremo l’Unità», e accusa i soci azionisti di non avere versato i 1,6 milioni di euro che avrebbero prolungato le pubblicazioni fino al 30 settembre. Al di là degli scambi reciproci di accuse, e dei “bisognava fare” che, ovviamente, nessuno ha fatto, ci sono ora ottanta persone, tra giornalisti e poligrafici, che si trovano appiedati. E che, dopo tutto, hanno continuato a sperare in una soluzione felice, lavorando per tre mesi senza recepire uno stipendio.

La chiusura del giornale, che era riuscito a rimettersi in sesto dopo la battuta d’arresto del 2000, ha suscitato proteste di solidarietà da parte del Pd, della Fnsi (Federazione Nazionale Stampa Italiana, ndr), e della Cgil.

Le proposte. Cinque sono state le proposte di salvataggio. Di queste, due erano state subito scartate, perché ritenute “folkloristiche”. Le altre erano state avanzate da Matteo Fago, da Matteo Pessina e dall’onorevole Daniela Santanché. Matteo Fago, fondatore dell’editoriale Novanta, era anche il socio di maggioranza della Nie, e dunque ben addentro ai problemi del gruppo, inficiato da uno statuto che richiedeva il 91 percento di maggioranza per l’approvazione di qualsiasi decisione. Fago proponeva di affittare e, dopo sei mesi, di acquistare tutta l’azienda. Il piano avrebbe conservato i posti di lavoro e salvaguardato la sede di via Ostiense, ma avrebbe comportato una riduzione degli stipendi. Una prospettiva che, a rigor di logica, non avrebbe dovuto fare spavento a chi, da tre mesi, lo stipendio non lo prendeva più.

Matteo Pessina, imprenditore edile che, «ilFatto» ricorda, è coinvolto nell’inchiesta sugli appalti Expo ed è nella lista dei “furbetti di San Marino”, proponeva l’acquisto della testata, ma a un prezzo inferiore a quello di mercato e senza accennare al futuro dei dipendenti del giornale. Infine, Daniela Santanchè. Epperò. Un editore di destra, per «l’Unità»? Sarebbe stata la morte politica della testata, così si è detto.

Il quotidiano che faceva la politica. «l'Unità - Quotidiano degli operai e dei contadini» è nato il 12 febbraio 1924. L’iniziativa era stata di Antonio Gramsci (PCI), il quale voleva un giornale senza indicazioni di partito, purché di sinistra. Nel 1925 –  e c’era già stato il delitto Matteotti –   il prefetto di Milano Vincenzo Pericoli sospende le pubblicazioni dell’ «Unità» e dell’«Avanti». Dal 27 agosto 1927 il giornale comincia a essere stampato a Lilla, in via d’Austerlitz, e a essere diffuso in clandestinità. Il 6 giugno 1944 il direttore Celeste Negarville guida la ripresa delle pubblicazioni ufficiali, a Roma, in Via IV Novembre. Il quotidiano poteva contare tra i suoi collaboratori Ludovico Geymonat, Italo Calvino, Cesare Pavese, Elio Vittori e Aldo Tortorella, autore della celebre frase «Eravamo il giornale, ma anche il partito». Le sedi redazionali, dapprima disperse a Torino, Milano, Genova e Roma, vengono unificate agli inizi degli anni Sessanta nelle direzioni di Roma e di Milano, sotto la guida di Mario Alicata, coadiuvato da Aldo Tortorella e Luigi Pintor. Le tirature aumentano, fino a raggiungere le 239 mila giornaliere negli anni Settanta. Non mancano tuttavia le polemiche, scoppiate quando il mensile «Il manifesto» diventa un quotidiano, per iniziativa di Pintor, Lucio Magri e Rossana Rossanda, espulsi dal PCI. In occasione dei funerali di Enrico Berlinguer (11 giugno 1984), si tocca il milione di copie vendute. Tra alti e bassi, il quotidiano veleggia attraverso gli anni Ottanta e Novanta, raccontando la storia quotidiana dell’Italia e del mondo. Assiste alla nascita di supplementi («Tango», Cuore», «Unità 2»), e ai passaggi di direttori, come Massimo D’Alema, Renzo Foa e Walter Veltroni. Quest’ultimo, per accrescere le vendite, fa allegare al quotidiano libri, audiocassette, videocassette e le amatissime figurine Panini.

L’«Unità», le cui vendite sono scese alle ventimila copie, sembra chiudere i battenti il 13 luglio 2000, nonostante i tentativi di salvataggio dell’editore Baldini Castoldi Dalai. La pubblicazione prosegue solo online, fino a quando, all’inizio del 2001, alcuni imprenditori si  si organizzano nella Nie. Dal 2001 a oggi, la direzione dell’«Unità» è stata raccolta in consegna da Concita de Gregorio, della «Repubblica», e da Claudio Sardo, del «Messaggero», per passare infine nelle mani di Luca Landò.

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