Si rischia una nuova Ucraina in Macedonia. File di auto alla frontiera con la Serbia, per fuggire da un teatro di violenza che presto potrebbe trasformarsi in guerra civile. Da una parte c’è Belgrado, che accusa Bruxelles di tollerare eccessivamente il comportamento della comunità albanese e dall’altra c’è Mosca, che denuncia una manovra occidentale contro un governo che non aderisce alle sanzioni contro la Russia. Con il suo esplosivo mix etnico, la Macedonia è al centro di una serie di conflitti balcanici, lungo il percorso possibile di un gasdotto russo. Alla luce di questo contesto la crisi investe un Paese che dal 2005 è candidato all’adesione all’Unione Europea ma che, nonostante i continui pareri positivi di Commissione e Parlamento, si è sempre visto negato l’accesso dal Consiglio Ue a causa della situazione fragile della democrazia interna, e soprattutto del veto greco.
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Gli ultimi sviluppi. Dall’inizio del 2015 nel Paese il clima è teso, con un tentativo di golpe denunciato dal governo conservatore in carica e, di contro, con le accuse di autoritarismo da parte dell’opposizione di centrosinistra. Il 7 maggio 2015, per la prima volta nella storia del Paese, albanesi e slavo-macedoni sono scesi in piazza insieme per protestare contro il governo Gruevski. La situazione nel Paese balcanico ha, però, preso una brutta piega lo scorso fine settimana, quando un gruppo armato ha attaccato la polizia a Kumanovo, al confine con Serbia e Kosovo. Ci sono stati 22 morti, e il governo ha incolpato del gesto gli indipendentisti albanesi, cioè quel gruppo estremista di cui fa parte ancora oggi ciò che rimane dell’Uck, l’Esercito di liberazione del Kosovo (Uck) nato negli anni della guerra in Kosovo e ritenuto annoverato tra le organizzazioni terroristiche.
Le tensioni politiche contro il governo. Di per sé l’attacco è un fatto isolato, ma il Paese sta già vivendo da giorni una serie di tensioni politiche nate dalla pubblicazione di migliaia di intercettazioni telefoniche, dalle quali è emerso che il Governo ha spiato illegalmente le telefonate di migliaia di oppositori politici, giornalisti ed attivisti di Ong. In queste intercettazioni si possono ascoltare inoltre ministri, alti funzionari del Governo macedone e lo stesso premier parlare di nomine a cariche pubbliche pilotate, intimidazioni alla stampa e insabbiamenti di processi per omicidi compiuti dalla polizia. Il premier conservatore Nikola Gruevski, al potere dal 2006, è anche accusato di aver cercato di organizzare brogli elettorali e di coprire la morte di un ragazzo di 22 anni, anche se lui nega ogni accusa. Dopo i fatti di Kumanovo nel governo sono cadute alcune teste: si sono dimessi il ministro dei trasporti e quello dell’interno, oltre al capo dei servizi segreti, anche se gli analisti ritengono che sia stata più che altro un’operazione di facciata, per permettere a Gruevski di rimanere saldo al potere.
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La grande manifestazione di Skopje. Nei giorni scorsi sono scese in piazza a Skopje 40mila persone per chiedere le dimissioni del governo, generando la più grande manifestazione della storia del Paese. L’evento era stato organizzato dal principale partito di opposizione, il Sdsm, guidato da Zoran Zaev, ma è stato rivolto a tutti i cittadini che volevano manifestare il loro dissenso al Governo: per questo tutte le bandiere di partito erano state bandite. Si è parlato di rivoluzione colorata, un mix tra una sollevazione “pacifica” interna, interetnica (circa il 30 percento dei macedoni sono musulmani di etnia albanese) e aggressione armata dall’esterno. Manifestazioni guardate con interesse anche fuori dal Paese, in particolare in Russia. Dopo, infatti, il no della Bulgaria, Putin cerca nuove strade per diffondere i gasdotti di Mosca: il South Stream potrebbe così diventare Balkan Stream, passando dalla Turchia alla Grecia, e da lì alla Macedonia, dalla quale proseguirebbe verso nord.
Identikit di un Paese in bilico. La Macedonia è una piccola repubblica balcanica indipendente dal 1991. La sua popolazione è composta in prevalenza da slavo-macedoni (65 percento), albanesi (25 percento), turchi (4 percento), rom (3 percento), serbi (2 percento) e minoranze bosgnacche e valacche. La lingua nazionale è il macedone, idioma slavo meridionale assai vicina al bulgaro, accanto all’albanese che è lingua ufficiale nei comuni in cui tale minoranza supera il 20 percento della popolazione. Il Paese non è stato toccato dai conflitti che sconvolsero la Jugoslavia, ma venne parzialmente coinvolto nella guerra del Kosovo del 1999, quando circa 350mila albanesi si rifugiarono proprio qui. Quando la guerra finì i profughi albanesi rientrarono rapidamente in patria, ma l’Uck, un movimento radicale albanese, rivendicò con le armi l’autonomia delle regioni in cui la presenza di connazionali era forte. Ne seguì un breve conflitto, dal gennaio al novembre 2001, le cui perdite si limitarono a poche decine di uomini. Il conflitto si risolse con gli Accordi di Ocrida, che garantirono maggiori diritti alla comunità albanese del Paese. Che però, negli ultimi mesi, si è sentita discriminata dal crescente nazionalismo del primo ministro Gruevski. A complicare il quadro del già fragile equilibrio etnico, le accuse di jihadismo nei confronti degli albanesi. Le tensioni in Macedonia stanno minacciando la stabilità dei Balcani occidentali, ponendo il serio rischio di piombare in una guerra civile che ricorda quella ucraina. Dopotutto anche quella partì da una piazza.