Marta Cartabia eletta presidente della Corte Costituzionale

La prima cosa che si nota di lei è il sorriso. Aperto, amichevole, conciliante. Già questo fa di Marta Cartabia, prima donna a diventare presidente della Corte costituzionale (la suprema corte...) un giudice molto particolare. In genere il profilo di chi siede attorno a quel tavolo è all’insegna di una riservatezza anche un po’ burbera. Invece lei da sempre ha mostrato un volto pubblico diverso. Ieri è stata eletta all’unanimità, con 14 voti e il solo suo voto astenuto. La sua sarà una presidenza breve, che scadrà il 2 settembre del 2020, in quanto il mandato dei giudici della Corte è di nove anni non rinnovabili e lei era stata chiamata da Giorgio Napolitano il 2 settembre del 2011: aveva 48 anni ed era la più giovane attorno a quel tavolo. Quindi i suoi saranno nove mesi di presidenza, ma sufficienti a fare da spartiacque. «In Italia età e sesso ancora contano» ha detto appena nominata, «ma è stato rotto un soffitto di cristallo e spero di fare da apripista».
Di sé non ha mai tenuto nascosto nulla. Né l’aspetto privato della sua famiglia (è sposata e ha tre figli), né le sue passioni per la montagna, per il trekking e per la musica, da Verdi fino ai Metallica. Soprattutto non ha nascosto la sua formazione cattolica, alla scuola di quel grande educatore che è stato don Luigi Giussani. Ma per lei appartenenza ha il significato opposto a chiusura e arroccamento. «Tutti noi arriviamo qui con una personale formazione, sia essa cattolica o atea, politicamente di destra o di sinistra», ha spiegato. «La formazione di ciascuno di noi è una ricchezza e non un problema a condizione che si sia in una posizione di ascolto e con un atteggiamento di laicità positiva, che tutti siamo chiamati a difendere». Un personaggio di grande autorevolezza come Sabino Cassese, commentando la nomina di Cartabia ha ribadito lo stesso concetto: «È stata eletta una persona in grado, per i suoi studi e le sue esperienze, di comprendere per quali nuove strade si sta incamminando il mondo. Questo è importante anche per comprendere e contenere le posizioni regressive dei neo-nazionalisti che vorrebbero nuovamente rinchiudersi nei confini nazionali, ergendo barriere e muri».
Tra i principi che ama sempre ribadire c’è anche un bel gioco di parole: per chi occupa posti come il suo «la prima virtù è la prudenza, che non a caso è compresa nella parola “giurisprudenza"». Una sana prudenza l’ha guidata in due tra le più importanti sentenze di cui è stata relatrice: quella sui vaccini, con la quale la Corte ha stabilito che l'obbligo di farli non è irragionevole, bocciando il ricorso della Regione Veneto. O quella sull'Ilva, che dichiarò incostituzionale il decreto del 2015 che consentiva la prosecuzione dell'attività di impresa degli stabilimenti, nonostante il sequestro disposto dall'autorità giudiziaria dopo l'infortunio mortale di un lavoratore.
Invece ha voluto mettere da parte la prudenza nell’iniziativa che ha portato i giudici a compiere un viaggio dentro le carceri, per rendersi conto dal vivo di una situazione umanamente in tanti, troppi casi intollerabili. Da quel viaggio dei giudici è nato anche un documentario girato da Fabio Cavalli e presentato alla Mostra del Cinema di Venezia. Di lei in tanti ricordano il discorso tenuto, nel corso di questo viaggio, a San Vittore. «La presenza del carcere qui, nel centro della città, invece ci dice che la vita in carcere non è un esilio, siete parte della vita di questa comunità che è la Repubblica italiana. Siamo qui per dire e testimoniare con un gesto concreto che il carcere è parte della Repubblica italiana, la Costituzione è scritta anche per voi». Parole che i detenuti presenti avevano salutato con una vera ovazione.