Una minoranza etnica e religiosa

Il martirio degli Yazidi

Il martirio degli Yazidi
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«I miliziani dell’Isis hanno ucciso 500 uomini solo perché yazidi, hanno fatto prigioniere 500 donne e le tengono ora in una località vicino a Tel Afar». La denuncia è arrivata martedì al parlamento iracheno, per voce di Vian Dakhil, deputata irachena che rappresenta proprio questa piccola comunità che vive nel nord-ovest del Paese, nella piana di Ninive. L’avanzata dello Stato Islamico dell’Iraq e del Levante porta in prima pagina con potenza il dramma di questa popolazione, assediata sulle montagne di Sinjar: l’Onu parla di 50mila persone rifugiate su questa altura, tante donne e bambini, fuggite dalle conversioni forzate all’islam imposte dai fondamentalisti di al-Baghdadi. Cibo e acqua scarseggiano: «70 bambini sono già morti di sete, così come 30 anziani», ha denunciato la Dakhil. «Veniamo massacrati, la nostra religione viene cancellata dalla faccia della terra», ha implorato aiuto in lacrime la deputata. Le ha fatto eco domenica 10 agosto il ministro iracheno dei diritti umani Mohammed Shia al-Sudani, secondo il quale «molte delle vittime, tra cui donne e bambini, sono state sepolte vive». Secondo le ultime informazioni, i combattenti curdi sono però riusciti ad aprire un corridoio dal quale 20.000 yazidi sarebbero riusciti a fuggire. Ma chi sono gli Yazidi? Sono gli appartenenti ad una minoranza etnica e religiosa che conta circa 700mila adepti sparsi in tutto il mondo, concentrati però in prevalenza tra Iraq (circa 500mila). Lo Yazidismo è un credo nato da un processo di sincretismo, che unisce alcuni elementi dell’Islam e della cristianità allo Zoroastrismo, l’antica religione dei Persiani, precedente addirittura alla nascita di Cristo. Gli Yazidi credono in Dio come creatore del mondo, ma s’affidano anche a sette divinità cui il divino avrebbe affidato il mondo, la più importante delle quali è Tawsi Melek, “l’angelo Pavone”. Etnicamente e linguisticamente sono curdi, e tali vengono considerati anche dai curdi musulmani che dominano il nord-est dell’Iraq. L’avanzata dell’Isis ha coinvolto almeno 200mila Yazidi, rimasti indifesi per l’incapacità delle forze curde Peshmerga di difendere la città di Sinjar: sono stati costretti così a pagare la tassa per i non credenti, la “jizya”, qualora non avessero voluto convertirsi o scappare. Quanto alle pratiche, gli Yazidi sono riluttanti a mischiarsi con persone di altre religioni, oltre a conservare una rigida divisione in tre caste, dove non è consentito il matrimonio tra persone di caste diverse. Hanno cinque preghiere previste al giorno, ma non pregano se ci sono stranieri: si ritengono discendenti di Adamo, per tanto evitano i contatti con chiunque non è Yazidi, e questo si vede, ad esempio, nella loro diserzione dall’esercito, per evitare di dover stare con altri soldati. L’avversione dei sunniti dell’Isis non è un problema recente, ma una diatriba antica che affonda le sue origini nelle differenze dottrinali. In lingua araba, un altro nome per Tawsi Melek è Shaytan, Satana, poiché, secondo la tradizione islamica, le storie delle due figure sono molto simili. Per questo gli Yazidi sono stati accusati più volte di credere nel demonio e in più, avendo credenze pre-Islamiche, hanno spesso subito oppressioni dai musulmani. Epoche dure sono state il XVIII e XIX secolo, durante la dominazione ottomana: stragi e spedizioni punitive hanno colpito con frequenza gli Yazidi. «Abbiamo sofferto 72 massacri nella nostra storia», ha spiegato al Washington Post il parlamentare Haji Ghandour, Yazidi e in fuga pure lui dal nord-ovest dell’Iraq: «Temiamo che Sinjar possa essere il 73esimo».

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