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«Me no, al bèche mia. Ol virus, al gà pura de me!». I racconti degli operatori di Albino

Storie di vita ai tempi del Coronavirus raccontate da Michele, Sofia e Paola della cooperativa sociale. L’operatore: «Mi mancano quegli abbracci, ho scoperto che facevano bene anche a me». Iolanda, la 90enne che passeggiava e regalava caramelle

«Me no, al bèche mia. Ol virus, al gà pura de me!». I racconti degli operatori di Albino
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di Fabio Gualandris

Generazioni FA è una cooperativa sociale che pone al centro il valore e la dignità di ogni persona. Si occupa di sostenere i minori nella crescita, di accompagnare le famiglie nel loro compito di educazione dei figli e le donne sole nel loro ruolo genitoriale; si prende cura degli anziani e dei malati a domicilio, attraverso una rete di servizi e di progettualità. Proponiamo alcune testimonianze dei cooperanti, un diario di bordo in tempo di pandemia che restituisce la passione di lavorare per il bene delle persone.

Michele, come dice lui stesso, è un operatore storico del servizio di consegna pasti a domicilio. Attraverso il suo racconto sembra quasi di vederlo, con la tuta da “Polizia scientifica” scherzare e ridere con i nonnini: «Sono un po’ la “memoria storica” del servizio di distribuzione dei pasti ai nonni di Albino, visto che, in questa funzione, sono un operatore della prima ora. Ciò che mi manca di più, in questa fase di distanziamento forzato, è proprio il contatto fisico con i nonni. Una carezza, un abbraccio (ancorché non troppo energico), un bacetto, una stretta di mano erano gesti che a loro facevano bene. Lo si capiva guardando l’espressione del loro volto che si allargava in una “cera” di compiacimento, di soddisfazione».

Michele

«Ora mi rendo conto che, questi gesti, facevano bene anche a me, poiché avverto che la loro assenza mi pesa. Ora, il massimo del contatto che si può avere si deve limitare a un gomito contro gomito. Posso dire di non aver mai dato (e ricevuto) così tante gomitate come in queste ultime settimane, nemmeno quando giocavo a calcio!». «Tuttavia, anche in questi periodi davvero ardui, per merito quasi esclusivo dei nonni, non sono mancati dei momenti di pura ilarità, frutto di quel disincanto e di quella sorta di placido fatalismo che hanno le persone che hanno vissuto la guerra e, sebbene non al fronte, hanno patito la fame, hanno provato, nella carne e nello spirito, ogni altro genere di stenti». «Disincanto e fatalismo con cui, al mio lagnarmi per la presenza del coronavirus, mi si rispondeva, spesso, con un allargamento di braccia, per la serie “Adda passà ’a nuttata” (Dovrà finire questa nottata)».

«Un nonnino, più “caustico”, mi ha addirittura risposto: “Me no, al bèche mia, me, ol virus, al gà pura de me!” (Ma no. Non lo becco io il virus, ha paura di me!)». «Ma il massimo della ilarità è stato quando un nonnino, pochi giorni fa, vedendomi con tuta tipo Polizia scientifica, mascherino, occhiali protettivi e guanti mi ha detto testuali parole: “Teh, ma ghét mia ergògna a ‘nda ‘n giro issé? A l’è pasàda Pasqua dé ü bel tòc, e te t’andé in giro estìt amò de Carneal” (Tu, ma non hai vergogna ad andare in giro conciato così? Pasqua è passata da un pezzo e sei in giro ancora vestito da carnevale)».

Sofia

Sofia è membro dello staff di Direzione. Lei non gira per le case, non lavora nei servizi... lavora da casa. E da lì, tra i figli e le videoconferenze, “lavora forte” per i colleghi, per i ragazzi e gli anziani seguiti da Generazioni FA. Queste le sue parole: «Stare a casa. Stare a casa sapendo che la maggior parte degli operatori della cooperativa - educatori, Asa, Oss, infermieri, assistenti famigliari - sono là fuori per garantire i servizi essenziali per tutte le persone fragili che accudiamo, curiamo, cresciamo. Posso solo immaginare la paura di questi operatori alla notizia di un collega malato; la sensazione di disorientamento e solitudine che provano nel percorrere le vie deserte per arrivare sul posto di lavoro; la stranezza nel dover indossare le mascherine di fronte alle persone che fino a poche settimane fa erano abituati ad abbracciare, ad accudire anche con una carezza e con la vicinanza fisica. E non posso che ammirare la loro forza, la loro tenacia e la motivazione che permettono loro di continuare ad uscire di casa ogni giorno». «Stare a casa. Stare a casa con la sensazione di essere fortunata a poterlo fare. E anche con un gran senso di colpa per non poter andare in prima linea a dare una mano. E allora lavori da casa. Lavori più forte, lavori freneticamente, senza staccare mai veramente, inventando nuovi modi di comunicare, cercando forme nuove di supporto, provando a essere vicina e a essere utile, anche se lontana».

«Stare a casa. Stare a casa e sentirsi chiedere dal proprio figlio di 8 anni: “Ma quante video-riunioni fai? Ma il tuo lavoro è parlare con tutte queste persone? Incontrare tutta questa gente?”. Eh già, ha proprio ragione lui! Il mio lavoro è relazione; è parlare, confrontarmi, discutere, fare squadra. E allora penso che questa sia proprio una bella squadra di cui essere parte. E che sono felice di esserci anch’io. Anche da casa».

Paola

Paola, operatrice della sede di Albino, ricorda una persona che se ne è andata: «Vi voglio parlare di Iolanda. Iolanda era una donna che per noi della sede operativa Adi, meglio conosciuta come “sede nuova”, era un’immagine quotidiana. Abitava al piano sopra di noi. Tutti i giorni verso le 10 scendeva e cominciava la sua palestra per l’anima e per il corpo. Faceva su e giù dal corridoio per cinque volte con il passo di una novantenne che sentiva il peso degli anni. Poi si concedeva una piccola pausa per il caffè al bar di sotto, e riprendeva la sua medicina per l’anima: su e giù ancora per un paio di volte. Poi saliva, preparava il pranzo al figlio, riposava e poi di nuovo su e giù per quel corridoio. Era allenata! Era allenata alla vita, alla cortesia e ai buoni modi. Se trovava la nostra porta aperta entrava per un saluto, se ti incontrava sul corridoio ti chiedeva: in quante siete? “In tre Iolanda”, e ti dava quattro caramelle nel caso arrivasse ancora qualcuno! Grazie Iolanda! Nella tua collana di perle ho rivisto mia nonna, nei tuoi racconti ho capito che la vita è faticosa ma che si può arrivare a 90 anni con la pace nel cuore, le tue caramelle al miele non mi piacevano ma mi hanno ricordato che il poco va condiviso! Rimarrai nei miei ricordi come la donna che voleva arrivare fino alla fine con la voglia di amarla, questa vita. Da lassù continua a salutarci, quel saluto che hai sempre voluto farci, ogni giorno».

Generazioni Fa. Fondata ad Albino nel 2002 si pone come un’impresa di comunità che ha l’obiettivo di incrementare il benessere, la coesione sociale e la qualità di vita delle persone e delle famiglie con cui abita il territorio; si propone come attore insieme agli altri soggetti nei processi di co-progettazione di politiche sociali inclusive e sostenibili nel tempo, coltivando relazioni, collaborazioni e legami di prossimità che accorcino le distanze e favoriscano la costruzione di luoghi di ascolto e dialogo con le risorse e i bisogni delle Comunità.
I servizi che gestisce sono il Centro diurno integrato di Ranica, l’assistenza domiciliare integrata in accreditamento con Ats, il servizio di assistenza domiciliare su incarico dei Comuni, il servizio di consegna pasti a domicilio su incarico del Comune di Albino, il servizio “Rsa aperta” su incarico della Rsa di Nembro, il servizio assistenti familiari (badanti) e prestazioni socio-assistenziali e socio-sanitarie in forma privata (prelievi del sangue, cura del piede da parte di infermiere, fisioterapia, iniezioni, igiene personale, bagno assistito…).

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