Una manovra da 4mila miliardi di dollari

La mega finanziaria di Obama L'austerity è un ricordo lontano

La mega finanziaria di Obama L'austerity è un ricordo lontano
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Stop all’austerity, via agli investimenti. Se si volesse riassumere in uno slogan il discorso di presentazione della manovra finanziaria di Obama, questo sarebbe senz’altro il più azzeccato. Il Presidente Usa ha presentato un piano imponente, da poco meno di 4mila miliardi di dollari, incentrato su una progressiva ripresa della spesa pubblica, resa possibile dai paradisiaci numeri dell’economia americana dell’ultimo anno. C’è però un piccolo, per usare un eufemismo, problema: rischiano di essere tutti progetti al vento, perché il Congresso, che deve approvare le nuove norme, è a maggioranza repubblicana, in seguito alle midterm di novembre. Ma Obama, ben conscio delle difficoltà politiche testé sottolineate, si è mostrato comunque spavaldo e fiducioso, da un lato perché sa bene, ormai, di non aver più nulla da perdere, politicamente parlando, e da un altro lato perché i numeri economici sono dalla sua parte, e l’ala repubblicana del Congresso dovrà pensarci due volte prima di ostruire questo processo di vertiginosa crescita.

La manovra, nel dettaglio. Come si diceva, la parola d’ordine è “investire”, e Obama intende farlo, anzitutto, spingendo le grandi multinazionali americane a riportare in patria i propri capitali per reinvestirli sul territorio. Per riuscire in quest’opera di convincimento, sono state pensate particolari imposte per le tassazioni delle grandi aziende: una saltuaria del 14 percento sui profitti offshore (derivanti cioè da attività all’estero) e una del 19 percento sui guadagni futuri sempre al di là del confine. Si tratta di aliquote decisamente più basse rispetto al 35 percento standard in vigore fino ad ora. Da queste tassazioni il Governo dovrebbe ottenere circa 240 miliardi annui, che verrebbero prontamente reinvestiti in opere infrastrutturali.

 

 

Rimanendo sempre in ambito fiscale, sono stare presentate le prime norme che danno corpo a quanto dichiarato da Obama poche settimane fa in merito ad una tassazione più snella per il ceto medio: l’intento è portare al 28 percento (dall’attuale 23,5) la tassazione sui guadagni di tipo finanziario per le coppie con redditi superiori ai 500mila dollari all'anno, nonché un maggior prelievo fiscale sulle banche di grandi dimensioni. Questa mossa dovrebbe portare nelle casse dello stato 320 miliardi di dollari, che verrebbero utilizzati per tappare lo scoperto di 175 miliardi dato dalle agevolazioni fiscali alla classe media e i 60 miliardi necessari per pagare i due anni di community college (l'università pubblica) a milioni di studenti, altra riforma che Obama ha presentato nel discorso sullo stato dell'Unione di qualche settimana fa.

Obama poi, da buona volpe democratica, ha pensato anche a un paio di ritocchi da presentare sotto forma di cioccolatino ai repubblicani: 561 miliardi di dollari infatti verranno impiegati per sostenere il settore della Difesa, ambito da sempre legato a doppio filo al Gop. Separatamente, inoltre, il Presidente sta chiedendo 51 miliardi addizionali per finanziare le attività nei conflitti in Siria e Iraq e la presenza americana in Afghanistan, che si preannuncia quindi tutt’altro che al capolinea.

Tra le altre proposte del Presidente, un fondo di un miliardo di dollari per aiutare le nazioni dell'America centrale, dopo l'emergenza umanitaria provocata, lo scorso anno, dall'arrivo negli Stati Uniti di decine di migliaia di bambini da quei Paesi, entrati da soli e illegalmente, e 215 milioni di dollari per un progetto di medicina di precisione che avrà tra i suoi obiettivi la raccolta dei dati genetici di un milione di americani (volontari), per permettere agli scienziati di sviluppare farmaci e trattamenti su misura, in base alle caratteristiche specifiche dei pazienti.

 

 

Tutto questo tenendo comunque sempre in considerazione i dati sull’occupazione nonché, fondamentale, il deficit di bilancio. Per quanto riguarda la prima, è previsto un calo progressivo, che dovrebbe attestare il tasso di senza lavoro al 5,1 percento nel 2016, e al 4,9 nel 2017 e 2018. Per quanto riguarda invece il deficit, dovrebbe scendere da quota 583 miliardi di dollari di quest’anno, (ovvero il 3,2 percento del Pil) a 474 miliardi nel 2016 (2,5 percento del Pil), mentre il debito pubblico dovrebbe calare entro il 2016 al 75 percento del Pil, mentre sul lungo periodo, 2025, al 73 percento circa. Tutto ciò grazie ad una prevista espansione dell’economia a ritmi del 3 percento sia per il 2015 che per il 2016.

Un monito all’Europa. Nel suo discorso di presentazione della manovra finanziaria, Obama non si è esentato dal lanciare un assai poco velato monito ai colleghi d’oltreoceano, sottolineando come «non si può continuare a spremere i Paesi che sono nel mezzo della depressione. Ad un certo punto, ci deve essere una strategia per la crescita, affinché possano pagare i loro debiti ed eliminare una parte dei loro deficit». Il riferimento alla Grecia è esplicito, tanto quanto l’intransigenza, per il momento, dell’Ue circa la ritrattazione del debito ellenico (stimato intorno ai 322 miliardi di euro, di cui 46 nei confronti dell’Italia). D’altra parte, Obama e gli Usa l’hanno dimostrato: negli scorsi anni, il deficit è stato portato a livelli vertiginosi, oltre il 12 percento, pur di investire, e i risultati nel giro di qualche anno sono arrivati, con la disoccupazione ai minimi storici, una crescita inarrestabile, e il deficit sgonfiato. Ora tocca all’Europa prendere le proprie decisioni.

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