Fondamentale il 7% degli indecisi

Oggi si vota il referendum Il tifo di Bruxelles per il "no"

Oggi si vota il referendum Il tifo di Bruxelles per il "no"
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Oggi, giovedì 18 settembre la Scozia voterà per la propria indipendenza. Una data storica, non solamente per il Regno Unito, ma per l’Europa intera che, dalla nascita dell’Unione, si troverebbe per la prima volta a dover fronteggiare un caso di secessione. Il risultato del referendum scozzese è quanto mai incerto: negli ultimi giorni si sono susseguiti diversi sondaggi e la maggior parte di essi davano in vantaggio i “no”, ovvero la volontà di restare parte del Regno Unito, ma la percentuale di indecisi è stabile intorno al 7% e il voto di questi potrebbe cambiare lo scenario. Solamente un sondaggio ha dato in vantaggio i “sì” al 51%, ma la realtà è che, attualmente, gli indipendentisti si trovano a dover recuperare circa 4 punti percentuali e Alex Salmond, primo ministro scozzese e leader del partito separatista, sta spingendo sull’acceleratore per conquistarsi cuore, testa e soprattutto voti degli indecisi. In Scozia è molto alta la percentuale della popolazione che si dichiara scozzese e non britannica, ma di questi solamente il 60% è certo di votare “sì”. Salmond non ha mai puntato su toni accesi, dichiarando sin dall’inizio che la Scozia non è una Nazione oppressa, semplicemente è dell’idea che, sotto la corona inglese, non possa esprimere appieno il proprio potenziale economico, per la maggior parte rappresentato dai giacimenti petroliferi presenti nel Mare del Nord, al 90% appartenenti al territorio scozzese.

I tanti dubbi degli scozzesi. Il fattore maggiormente in grado di influenzare il comportamente degli elettori dunque, secondo Salmond, non è tanto il patriottismo "alla Braveheart", bensì le prospettive economiche dell’eventuale indipendenza. Lo dimostra il fatto che l’80% di coloro che credono in un’economia più prospera con l’indipendenza è pronto a votare “sì”, mentre la percentuale scende al 7% tra quelli di opinione opposta. Il problema di Salmond è che solamente il 25% della popolazione crede fortemente in un miglioramento della situazione economica scozzese a seguito dell’indipendenza. Come ha spiegato Emmanuel Dalle Mulle sul settimanale Pagina99, per questi motivi la campagna elettorale si è giocata principalmente sul tema della sostenibilità finanziaria. I separatisti affermano di versare più tasse a Londra di quanto quest’ultima versi nelle casse di Edimburgo e che i pozzi petroliferi offrirebbero una certezza economica da qui ai prossimi 40 anni, un lasso temporale abbastanza ampio da permettere al governo di operare per rilanciare un’economia al momento debole.

Gli unionisti, dal canto loro, puntano sulla volatilità del prezzo del greggio e sul declino delle entrate petrolifere dovute all’età avanzata dei pozzi. Salmond ha poi affermato che l’indipendenza non vorrà dire abbandono della sterlina, ma da Londra si esclude la possibilità di una unione monetaria in caso di vittoria dei “sì”. Il primo ministro scozzese ritiene questa solamente una strategia di destabilizzazione, ma la popolazione teme comunque l’assenza di un piano B. Se nelle ultime ore Salmond dovesse riuscire a fornire rassicurazioni credibili da questo punto di vista, sarebbe certamente un’arma in più a favore degli indipendentisti.

 

E Bruxelles incrocia le dita. Come detto, la vittoria dei “sì” sarebbe un evento storico anche per l’Unione Europea. La Scozia ha più volte sottolineato la propria vocazione europeista, criticando lo scetticismo verso Bruxelles mostrato da Londra. Nonostante ciò, l’indipendenza difficilmente porterebbe ad un ingresso automatico della Scozia nella UE. Barroso, nel dicembre 2013, spiegò come l’Unione si fondi sui trattati, applicabili agli Stati firmatari e sottoscrittori. Se parte del territorio di uno Stato membro smettesse di far parte di esso, i trattati smetterebbero di applicarsi a quel territorio. La legislazione europea non dice nulla sulla questione delle secessioni e questa lacuna sta mettendo in non poca difficoltà Bruxelles, che spera fortemente in una vittoria dei “no” per evitare di dover affrontare un caso che rischia di diventare uno spinoso precedente. La Catalogna, infatti, da diverso tempo spinge per avere l’ok da Madrid per un referendum sull’indipendenza, che vorrebbe si tenesse il 9 novembre. Rajoy però, a differenza di Cameron, non ha alcuna intenzione di dare l’ok. Una vittoria dei “sì” in Scozia rischierebbe di dare nuovo slancio alle richieste catalane. La Scozia è inoltre una delle regioni più ricche d’Europa, secondo produttore petrolifero, e dunque Bruxelles non potrebbe restare indifferente davanti alle sue richieste di annessione all’UE in quanto Stato indipendente.

Per questo una delle ipotesi, in caso di vittoria dei “sì”, è quella di una corsia privilegiata che permetta, in pochi mesi, di rendere la Scozia un nuovo Stato firmatario dei trattati in vigore. Ma alcuni governi potrebbero fare resistenza (come la Spagna, convinta nel voler tarpare le ali dell’entusiasmo degli indipendentisti catalani, ben più numerosi e convinti di quelli scozzesi). Seguire la procedura standard di annessione vorrebbe però dire almeno 5 anni di iter burocratico per la Scozia, cosa che metterebbe a rischio gli equilibri economici dello Stato e le risorse naturali da lì provenienti per tutta Europa. Il nuovo presidente della Commissione europea Jean-Claude Junker, inoltre, durante la campagna elettorale ha promesso di volere interrompere il processo di allargamento dell’UE per i prossimi 5 anni, una promessa che si troverebbe a cozzare con la volontà dell’ipotetica Scozia indipendente di entrare nell’Unione. Per tutti questi motivi giovedì 18 settembre, a Bruxelles, faranno tutti il tifo per il “no”.

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