Atrocità a non finire

Messico, la ricerca dei 43 studenti Nelle fosse il corpo di un sacerdote

Messico, la ricerca dei 43 studenti Nelle fosse il corpo di un sacerdote
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Il mistero dei 43 studenti messicani è sempre più fitto. La scorsa settimana tre narcotrafficanti avevano confessato di aver preso parte all’assassinio dei ragazzi, e di aver bruciato i loro corpi nei pressi di una discarica poco lontana dal luogo del rapimento. Le famiglie non hanno creduto alla versione ufficiale e hanno chiesto di effettuare analisi sui resti di alcuni corpi trovati carbonizzati. I primi risultati hanno dato esito negativo, ma i campioni sono stati inviati in Austria per nuovi esami. L’estrazione del dna è resa ancora più difficile dal cattivo stato in cui sono i resti.

A dare man forte alle speranza delle famiglie è la voce di un sopravvissuto a quella tragica notte del 26 settembre, e afferma che le autorità sbagliano a cercare i ragazzi tra i morti: secondo lui sono ancora vivi. Per denunciare la vicenda, i familiari dei ragazzi scomparsi hanno organizzato delle “Brigate informative” che percorreranno gli Stati principali del Paese chiedendo alla popolazione sostengo alla ricerca dei loro figli. Arriveranno a Città del Messico il 20 novembre dopo aver toccato sette Stati.

Il ritrovamento del corpo di un sacerdote. Le ricerche sono però ricominciate nelle fosse comuni ed è stata fatta un’altra macabra scoperta: il corpo di un sacerdote ugandese, padre John Ssenyondo. Non si avevano sue notizia dal 30 aprile 2014, quando scomparve dopo aver celebrato la Messa. Si era rifiutato di battezzare forzatamente il figlio di un boss. Il suo corpo è stato rinvenuto in una fossa comune con altre 13 persone e la sua identificazione è stata possibile grazie al suo dentista, che aveva le sue impronte dentali. Aveva 57 anni e faceva parte della congregazione dei Missionari Comboniani del Cuore di Gesù. Era in Messico dal 2010, prima responsabile della chiesa locale nella città di Los Hoyos Tlacotepec, poi fu assegnato alla parrocchia di Nejapa nella città di Chilapa. Già nel 2013 era stato derubato dell'auto e di contanti dopo essere stato picchiato e ammanettato in una stanza della chiesa che era anche la sua residenza.

Lo Stato di Guerrero. Questo, insieme all’orrore dei 43 studenti, è un altro fatto che getta luce sulle atrocità che si stanno compiendo in Messico, ed è solo l’ultimo degli episodi di violenza e corruzione che segnano lo stato di Guerrero. Sul quotidiano spagnolo El Pais lo storico messicano Enrique Krauze fa un ritratto dello Stato di Guerrero molto cupo e triste. Dice che Guerrero è uno stato ricco di spiagge e di risorse naturali («è il nostro primo produttore d’oro»), ma una grande fetta di popolazione è emarginata: il 70 per cento degli abitanti vive nella povertà. Il tasso di omicidi, quattro volte superiore alla media nazionale, è il più alto del paese. Guerrero è ingovernabile dai tempi del colonialismo, ha a lungo rifiutato la presenza della Chiesa (il suo primo vescovato risale al 1819, quasi tre secoli dopo la conquista spagnola) ed è famoso per essere stato teatro di tutte le guerre nazionali. La storia politica di Guerrero è un susseguirsi di sfruttamento, colpi di Stato, tradimenti, soprusi, ingratitudine, contrasti regolati con armi e omicidi. Dal 27 ottobre 1849, data della sua nascita come Stato, al 1942, anno in cui López pubblicò il suo libro, un solo governatore è riuscito a portare a termine il suo mandato. Oggi a Guerrero è concentrato il 98 per cento della produzione nazionale di papavero. Qualche tempo fa il presidente degli Stati Uniti Barack Obama ha citato un rapporto della Drug enforcement administration, l’agenzia federale antidroga, che denuncia un aumento del 324 per cento dei sequestri di eroina alla frontiera tra Messico e Stati Uniti tra il 2009 e il 2013. Buona parte della droga proviene dallo Stato di Guerrero.

Escalation di violenze in tutto il Paese. Iguala e Guerrero non sono tutto il Messico, ma l’escalation di violenze non è passata sotto silenzio nel resto del Paese. Da quasi due mesi i messicani sono scesi in piazza per chiedere giustizia e affinché venga messa la parola fine alle violenze che dal 2006 hanno provocato oltre 100 mila morti e 30 mila desaparecidos. Anche il Papa domenica scorsa ha fatto un appello per la fine delle violenze, a cui ha fatto eco una nota dei vescovi messicani che hanno dichiarato: “Basta, non vogliamo più violenza né morti, non vogliamo più desaparecidos né dolore e vergogna”. Amnesty International ha definito il fatto dei 43 ragazzi scomparsi un crimine di Stato. Tra la popolazione non sono in pochi a chiedere le dimissioni del Presidente Pena Nieto, ritenuto in qualche modo responsabile della tragedia degli studenti e accusato di coprire il crimine. Per questo a Città del Messico durante una manifestazione è stato appiccato il fuoco al portone del Palazzo Nazionale. Il Paese sta ospitando i Giochi Centroamericani e Caraibici e alla vigilia della manifestazione, iniziata il 14 novembre, alcuni manifestanti hanno tentato di spegnere la torcia olimpica al grido di: “Non vogliamo giochi, vogliamo giustizia”. E ora minacciano di boicottare gli eventi sportivi.

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