La donna vuole rimanere nell'anonimato

Charlie Hebdo, misteri sulla strage Quell'auto nera che seguiva Charb

Charlie Hebdo, misteri sulla strage Quell'auto nera che seguiva Charb
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Il 7 gennaio 2015 c’è stato l’attentato presso la redazione di Charlie Hebdo, il giornale satirico parigino. Gli aggressori parlavano arabo e si dicevano affiliati ad Al Qaeda. I morti sono stati dodici, diverse le vittime. Tra chi non è sopravvissuto c’era anche Charb (Stéphane Charbonnier), il direttore del settimanale. Sappiamo anche quello che è seguito. Indignazione e rabbia, la sfilata dei potenti a braccetto per le vie di Parigi (con polemiche e sarcasmi), il motto “Je suis Charlie”. La responsabilità di quanto è accaduto è stata interamente attribuita al gruppo terroristico. La tragedia di Charlie Hebdo sarebbe stata l’ennesimo atto di violenza dell’estremismo islamico. Ma c’è chi vede qualcosa di strano, di incoerente. C’è chi ha scorto un’ombra che si muoveva sullo sfondo della tragedia, un indizio che potrebbe restituire la piena verità sulla vicenda. Valery M. era l’ultima compagna di Charb, lo era da quattro anni. Finora è rimasta in disparte, non si è mai fatta avanti nelle trasmissioni televisive e davanti ai microfoni dei giornalisti, ma è stata la prima ad essere stata interrogata dalla polizia. Oggi Valery, che vuole mantenere l’anonimato, ha deciso di parlare pubblicamente e di esprimere le sue perplessità e ha rilasciato un’intervista al quotidiano Le Parisien. Sente che non è ancora stata fatta chiarezza su quanto è accaduto.

 

 

Un’auto nera. Valery ha raccontato che era insieme a Charb, la mattina della tragedia. Il direttore del settimanale era tranquillo, il suo stato d’animo era quieto. Negli ultimi tempi aveva chiesto che le sue guardie del corpo lo seguissero di meno, limitandosi a scortarlo al lavoro. Voleva condurre una vita che fosse il più normale possibile. La mattina del 7 gennaio, dunque, Charb era uscito per comprare delle brioche, per sé e Valery. Quando era uscito di casa era sereno, ma al suo rientro la compagna aveva notato qualcosa che non andava. Era perplesso, sospettoso. Le raccontò di avere visto una vettura nera dai vetri oscurati, una Peugeot o una Renault (Valery non si ricorda con esattezza). «Non era il genere di persona che si inquietava facilmente, ma quel giorno era veramente preoccupato», afferma la donna. Nel corso della conversazione, Charb confidò alla compagna che da qualche mese non riceveva più tante lettere di minaccia (motivo per cui era stata resa necessaria una scorta) e che sentiva il bisogno di rifare il punto della situazione con la polizia, per capire se si poteva abbassare la soglia di sicurezza. «Ma chi c’era dentro quella vettura?», si domanda oggi Valery. «I fratelli Kouachi, gli attentatori? Oppure dei complici?» La donna pensava che ci fosse qualcosa di inquietante, riguardo alla macchina nera, e ha perciò scritto un rapporto al giudice, per chiedere che questo elemento venisse tenuto in considerazione. Finora non ci sono state novità.

 

 

Finanziamenti dal Medioriente. Ma non finisce qui. Valery prosegue ricordando che nell’autunno del 2014 la situazione finanziaria del giornale era a dir poco catastrofica. Charb doveva trovare 200mila euro prima della fine dell’anno, per evitare che le pubblicazioni si fermassero. I conti erano in rosso e gli appelli a possibili donatori non erano bastati. «Aveva cominciato a cercare fondi un po’ dappertutto, senza parlarne troppo con i suoi compagni di “Charlie”, perché non voleva allarmarli. Durante questa ricerca, si era messo in contatto con diverse persone, tra cui uomini d’affari mediorientali, con i quali aveva trascorso qualche serata», racconta Valery. «Charb non mi ha mai voluto dire chi fosse l’intermediario che gli permetteva di incontrare queste persone. Lo chiamava semplicemente “il contatto”». Il giorno prima dell’attentato, il direttore di Charlie disse alla compagna che era finalmente riuscito ad ottenere il denaro necessario per mandare avanti il giornate, grazie alle serate trascorse in compagnia dei misteriosi uomini d’affari del Medioriente. Ciò che ha raccontato Valery desta parecchie perplessità. Perché non ci si può fare a meno di chiedere se sia una coincidenza, il fatto che il denaro sia stato trovato proprio il giorno prima dell’attentato. E poi, chi era “il contatto”, chi erano quegli uomini facoltosi, e come è stato regolato il versamento di denaro, era un prestito? Sono tutte domande che hanno bisogno di una risposta. «Gli inquirenti devono occuparsene», afferma con decisione Valery.

 

 

L’appartamento è stato svaligiato. Gli elementi di stranezza che ruotano attorno alla vicenda di Charlie Hebdo si arricchiscono di un’ulteriore circostanza sospetta. Il sabato seguente alla strage, infatti, Valery era tornata nell’appartamento che condivideva con Charb, insieme a suo fratello e a pochi intimi. Ma la casa era stata svaligiata e qualcosa era stato portato via, dei disegni e il computer portatile del direttore. «Ritrovare il pc sarebbe importantissimo per le indagini, perché contiene dati utili per l’inchiesta», dice Valery. «Mi stupisce che i poliziotti che hanno raccolto la mia testimonianza non si siano interessati». Valery ha messo da parte il suo riserbo, perché vuole fare tutto il possibile per scoprire cosa sia realmente accaduto il 7 gennaio, per capire perché tanti elementi sono fuori posto e nessuno se ne è occupato, finora. L’assalto alla redazione di Charlie Hebdo non è ancora un caso chiuso, per lei e per quelli che pensano che la rivendicazione terroristica potrebbe nascondere qualcos’altro.

 

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