Il modello tedesco (buono a metà) e la corsa verso il voto in autunno
Improvvisamente i nodi si sono sciolti e la riforma elettorale ha iniziato la sua corsa per arrivare ad un’approvazione veloce che permetta il voto in autunno. Improvvisamente i grandi nemici – Renzi, Grillo, Berlusconi e Salvini – si sono allineati tutti su un modello che in realtà avevano sempre davanti al naso, essendo il modello elettorale usato in Germania. Un modello complesso, ben collaudato nella struttura federale tedesca, che ora viene preso con poche obbligatorie varianti (per evitare passaggi da riforma costituzionale).
Ci vorrà un bel po’ di tempo perché gli elettori si raccapezzino davanti a questo sistema che sposa collegi uninominali e proporzionale. In sintesi, solo per la Camera, dovremo dare due voti. Uno relativo ai candidati che si presentano nel nostro collegio. Il candidato che prende la maggioranza dei voti (in teoria) diventa deputato. Con l’altra scheda invece si dà un voto di lista, che determina la suddivisione proporzionale dei seggi. Può accadere che la suddivisione proporzionale sancisca un numero di deputati diverso dal risultato emerso dai collegi. Quindi può accadere che un vincitore nel suo collegio si trovi a non essere eletto proprio come conseguenza di questo ricalcolo imposto dal proporzionale.
In Germania hanno ovviato al problema rendendo variabile il numero dei deputati (in questa legislatura sono 630, ad esempio), in modo da garantire l’elezione di tutti i vincitori dei collegi. In Italia non si può, perché comporterebbe una riforma costituzionale, e dopo il disastro del referendum del 4 dicembre scorso nessuno osa più andare a toccare la materia. In Italia è probabile che venga inserito un elemento di cultura molto “partitica”: non ci sarà possibilità di voto disgiunto, tra candidato al collegio uninominale e scelta del partito sulla scheda proporzionale (in Germania invece è possibile esprimere scelte diverse). Quello che vale per la Camera vale in fotocopia per il Senato, a differenza della Germania dove saggiamente il Senato ha una funzione di rappresentanza federale e viene eletto con un voto di secondo livello.
Resta un elemento di divisione tra le forze che appoggiano il modello tedesco: quello dello sbarramento (alla tedesca anche questo) al 5 per cento. Renzi e Grillo sono decisi a non mollare. Berlusconi, spaventato dall’emorragia di voti che alla fine non serviranno a nulla (Alfano, e Fratelli d’Italia) chiede di abbassare la soglia al 3 per cento. Renzi invece ha già la strategia in testa: Alfano, se resta la barriera del 5 per cento, con ogni probabilità dovrebbe essere costretto a rompere l’alleanza di governo. Così eviterà al Pd e al suo segretario di staccare la spina a Gentiloni e rendere inevitabile il passaggio elettorale.
E dopo il voto, che Parlamento avremo? Avremo un Parlamento alla tedesca, in cui sarà molto improbabile che una forza possa strappare la maggioranza. Ci saranno quattro forze oscillanti tra il 30 e il 10 per cento. Nessuna potrà pensare di andare a governare da sola: non ci è riuscita neanche la Merkel, figuriamoci se possono riuscirci Renzi o Grillo (i due candidati riescono a stare intorno al 30 per cento). La Merkel ha varato per tre volte una Grosse Koalition (GroKo nel gergo tedesco): nel governo attuale ha ben sei ministri Spd, il partito social democratico rivale del partito della Cancelliera, la Cdu.
E in Italia? Difficile immaginare che Grillo possa allearsi con forze che appartengono comunque tutte al vecchio sistema. Più probabile che si vada verso una soluzione in cui sia Renzi a guidare le danze e a coinvolgere qualcuno in un’alleanza. Le opzioni non sono molte: se Grillo è escluso, la Lega non è da meno. Quindi resta l’immarcescibile Berlusconi. Che vorrebbe arrivare al tavolo senza aver subito il dissanguamento dei partitini. Se sarà Grosse Koalition o inciucio sarà la storia a stabilirlo...