Conteso da Azerbaigian e Armenia

Il Nagorno Karabakh non c'è (però si sono tenute le elezioni)

Il Nagorno Karabakh non c'è (però si sono tenute le elezioni)
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Nel Caucaso Meridionale c’è una regione che si è autoproclamata Stato, ma nessun Paese della comunità internazionale la riconosce come tale. È il Nagorno Karabakh, lo Stato che non esiste. In questo non Paese nei mesi scorsi si è andati alle elezioni amministrative, indette dai politici locali per ribadire le istanze di autodeterminazione. Il voto si è svolto in un clima di tensione e violenza, perché la popolazione, anziché essere concorde con i propri politici e rivendicare le istanze di autonomia e indipendenza, ha visto la tornata elettorale come un pretesto per portare alla luce antichi dissidi interni. Il 56% degli aventi diritto (52.765 elettori) si è recato nelle urne del 207 distretti del Paese e ha decretato la vittoria dell’esponente del Partito Democratico.

 

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Elezioni giudicate illegittime. L’esito elettorale, già snobbato dalla comunità internazionale, è passato in secondo piano ed è stato giudicato illegittimo perché avrebbe violato la legalità internazionale. Il governo azero di Baku ha etichettato le elezioni come non legittime perché organizzate all’interno del territorio facente parte dell’Azerbaigian, sottratto con la forza da parte dell’Armenia. Inoltre le elezioni sono state considerate un ulteriore rafforzamento della politica di occupazione armena e un'ulteriore prova del mancato interesse da parte del Governo di Yerevan a risolvere pacificamente il conflitto. L’Armenia rigetta le accuse, affermando che le elezioni in Nagorno Karabakh, che si tengono periodicamente dal 1991, sono la testimonianza dell’impegno della popolazione della Repubblica nello sviluppo democratico e nel rispetto dei diritti umani.

E inopportune. Qualche settimana dopo le amministrative si è ripresentata la stessa situazione con le elezioni parlamentari. Tutti nel mondo, potenze europee, mondiali, Paesi musulmani, Ocse, hanno giudicato inopportune le consultazioni elettorali, perché svoltesi in palese violazione degli accordi Osce. Ma dietro un voto ritenuto inopportuno le ragioni sono molte, e gli scontri tra la popolazione hanno rischiato di sminuire la reale portata delle istanze di autodeterminazione del Paese, la cui situazione di instabilità rappresenta una delle più serie minacce per la sicurezza del Caucaso, estrema periferia d’Europa.

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La storia del Nagorno Karaback. Il Nagorno Karabakh è al centro di una contesa sanguinosa tra Armenia, Paese tra i più poveri al mondo, e Azerbaigian, Paese ricco di petrolio e attore geopolitico di primaria importanza dell’area. Una guerra agli inizi degli anni ’90, con il crollo delle Repubbliche Sovietiche, ha visto mietere almeno 30 mila vittime e un milione di profughi. L’Armenia, pur non riconoscendolo, difende in Nagorno Karabakh e lo considera un proprio “stato vassallo”; l’Azerbaigian vuole riprenderne il controllo, già esercitato durante l’epoca sovietica, dopo che lo perse con la guerra degli anni ‘90.

L’indipendenza. Dal 1992 il Nagorno Karabakh, 11.458 chilometri quadrati e 143mila abitanti, con una crescente offerta turistica e sede di industrie per la lavorazione dei diamanti, si è auto-proclamato repubblica indipendente. Dal 1994 vige un cessate il fuoco pressoché fittizio, che spesso viene violato, a causa del fatto che nessuno dei due Paesi al centro della contesa ha mai intrapreso una politica di reale disarmo. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu nel 1994 chiese all’Armenia di ritirare le proprie truppe dalle regioni occupate, ma le risoluzioni non vennero mai rispettate e dopo vent’anni la pace è ancora lontana. L’ultima violazione della tregua è avvenuta a fine agosto. Prima di quest’anno, nel 2014, sempre ad agosto, il conflitto vide il peggiore inasprimento dal cessate il fuoco e la calma venne apparentemente riportata con l’intervento del presidente russo Putin che decise di organizzare una serie di colloqui diplomatici a Sochi, ricevendo separatamente i presidenti dei due Paesi in conflitto. Da allora la tensione si è un po' stemperata, ma le provocazioni reciproche sono costanti e il Paese vive in una sorta di tregua armata.

Il ruolo della Russia nei rapporti con Azerbaigian e Armenia. Alla radice del conflitto, che ormai viene definito “frozen”, cioè congelato, ci sono soprattutto le relazioni tra l’Azerbaigian e il resto del mondo, soprattutto l’Europa. L’Azerbaigian è infatti un Paese ricco di petrolio e sul suo territorio ci sono importanti snodi per i gasdotti e gli oleodotti e la comunità internazionale ha ben poco interesse a inimicarselo. Inoltre, il conflitto va a investire anche i rapporti con Russia e Turchia, che parteggiano i primi per l’Armenia e gli altri, viste le colpe ottomane del genocidio armeno mai riconosciuto dai turchi, per l’Azerbaigian. In questo contesto Europa e Stati Uniti stanno in silenzio, non si schierano e rimangono a guardare, demandando di fatto alla Russia il ruolo di paciere tra le parti.

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In seguito alla pubblicazione di questo articolo, l'"Iniziativa Italiana per il Karabakh" ci ha inviato la seguente lettera.

 

A beneficio dei vostri lettori riteniamo doverose alcune precisazioni in merito al vostro articolo “Il Nagorno Karabakh non c’è, però si sono tenute le elezioni” pubblicato in data 14 c.m. e nel quale ravvisiamo alcune inesattezze.

Quella che si è tenuta lo scorso 13 settembre nella repubblica del Nagorno Karabakh-Artsakh è l’ennesima tornata di elezioni amministrative che ha portato al rinnovo delle cariche di Sindaco e del Consiglio degli Anziani (equivalente al nostro Consiglio municipale) di 207 comunità urbane e rurali.
Queste elezioni amministrative si aggiungono a quelle politiche per il rinnovo del l’Assemblea Nazionale e a quelle presidenziali, tutte con cadenza quadriennale, e hanno rimarcato il processo di consolidamento democratico e statuale della piccola repubblica caucasica de facto.

Contrariamente a quanto da voi riportato non ci risulta alcun clima di “tensione e violenza” e questa ennesima tornata elettorale si è svolta in modo del tutto pacifico; la bassa affluenza alle urne (56%) deriva dal fatto che in moltissime piccole comunità rurali (in alcuni casi composte da poche decine di abitanti, tutto il Paese ne conta 150.000) per la carica di Sindaco si è presentato un solo candidato. Anche nella capitale Stepanakert, l’esito scontato (il Sindaco uscente contro un candidato espressione del piccolo partito comunista dell’Artsakh) ha tenuto una parte dell’elettorato a casa. Nessun incidente è stato registrato né prima né durante le elezioni.

Se queste non vengono riconosciute a livello internazionale, è solo perché lo stato nel quale si tengono non ha a sua volta ancora ottenuto il riconoscimento internazionale pur avendo maturato all’inizio degli anni Novanta il pieno diritto all’autodeterminazione sulla base della legislazione sovietica dell’epoca (e in particolare la legge del 7 aprile 1990 sulle norme che regolavano la secessione delle allora repubbliche dall’Unione). Sarebbe troppo lungo soffermarsi in questa sede sulle ragioni (per lo più petrolifere…) che hanno impedito la conclusione di un’azione politica e civile iniziata allorché Stalin decise di regalare all’Azerbaigian turco e musulmano questa antica regione armena e cristiana.
È bene sottolineare che l’Osce e la Comunità Europea non hanno “condannato” queste elezioni che si tengono da oltre venti anni, ma semplicemente non le hanno potute ufficialmente sostenere; non sono tuttavia mancati gli inviti a consentire al popolo dell’Artsakh a determinare il proprio futuro in modo democratico.
Come avvenne, appunto, venticinque anni or sono allorché al termine di un percorso democratico e legale il popolo del Nagorno Karabakh decise il proprio futuro di libertà; a tale scelta – ripetiamo, consentita dalla legislazione dell’epoca – l’Azerbaigian rispose militarmente innescando un conflitto e ricercando ancora oggi (a differenza degli armeni) l’opzione bellica come soluzione del contenzioso.
Certo l’esercizio di democrazia elettorale non è consono a un Paese come l’Azerbaigian che “Reporter Senza Frontiere” colloca agli ultimissimi posti nella classifica mondiale della libertà di espressione e informazione al punto che l’Osce ha deciso di disertare le prossime elezioni di novembre dopo che Baku ha fatto chiudere la sua sede e processato altri giornalisti e militanti di ONG.

Solo il pieno riconoscimento al diritto all’autodeterminazione del Nagorno Karabakh-Artsakh potrà garantire pace e sviluppo nella regione allontanando i rischi di una guerra che l’Azerbaigian sta cercando di innescare e che avrebbe conseguenze devastanti anche per l’Europa stessa.

Cordiali saluti

Iniziativa italiana per il Karabakh

www.karabakh.it

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Riteniamo doverosa, a nostra volta, una piccola chiosa, da fieri sostenitori del diritto all’autodeterminazione dei popoli quali siamo. Per il conflitto del Nagorno Karabakh gli ultimi due anni sono stati assai bui, e hanno visto un’escalation di violenza culminata tra la fine di agosto e il periodo elettorale, con morti e feriti. Anche se le elezioni non sono state la causa scatenante dei disordini, è innegabile che la situazione nel Paese sia molto pesante, con forti limitazioni della libertà personale. È inoltre innegabile che le elezioni dello scorso settembre siano state l’ennesima occasione, per Armenia e Azerbaijan, per inasprire ulteriormente un conflitto che si combatte sulla pelle dei civili, anche a colpi di propaganda mediatica. È cronaca la dichiarazione da parte dell’Azerbaijan sull’illegittimità delle elezioni, che sarebbero espressione del rafforzamento delle politica di occupazione armena. Così come è cronaca la risposta di Yerevan, che ha rimandato al mittente la critica e la condanna.

Inoltre, sul fatto che la comunità internazionale, a torto o a ragione, abbia ritenuto illegittime le elezioni di maggio, possiamo citare le parole di Maja Kocijancic, Portavoce della Commissione Europea. Sul sito della Commissione è possibile leggere lo statement, in cui viene ribadito come l’Europa non riconosca “il quadro costituzionale e giuridico in cui si sono svolte”. Una analoga presa di posizione è quella dell’Osce che, pur riconoscendo il diritto di ogni popolo a scegliere il proprio governo, ha bollato come illegittime le medesime elezioni.

Infine, in merito alle elezioni di settembre, amministrative e quindi con una valenza locale e non politica, alcune delle principali organizzazioni islamiche come l’Isesco e l’Oic, anch’esse a torto o a ragione, si sono pronunciate a favore dell’Azerbaijan, definendo il Nagorno Karabakh un territorio occupato dall’Armenia.

Non era e non è nostra intenzione schierarci a favore dell’una o dell’altra parte. Ci siamo limitati a raccontare brevemente quello che accade nell’area, che riteniamo assai importante per il futuro anche europeo.

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