Un articolo del New York Magazine

New York sarà la nuova Atlantide Previsione apocalittica per il 2050

New York sarà la nuova Atlantide Previsione apocalittica per il 2050
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Immaginarlo non è difficile, vista la quantità di film catastrofici usciti negli ultimi vent’anni. Ma stavolta si sta parlando di una prospettiva del tutto realistica: New York finirà sott’acqua. Come ha recentemente raccontato il New York Magazine, il professore tedesco di geofisica Klaus Jacob (ma non è certamente il solo) sembra essere abbastanza certo che prima o poi la Grande Mela si ritroverà a mollo nelle acque atlantiche: «La città si avvicina a compiere il suo quinto secolo – ha detto il geofisico della Columbia University –, ma probabilmente non ne vivrà altri cinque, almeno non in questa forma. Diventerà una “Atlantide graduale”». D’altra parte, i problemi connessi al riscaldamento globale non sono di certo una novità; tuttavia, come suggerisce l’autore dell’articolo Andrew Rice, i cambiamenti molto lenti non vengono percepiti con il giusto allarmismo dalle persone, perché in qualche modo ci si abitua, anche alle inondazioni periodiche.

 

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Da qui al 2050. Gli scienziati dicono che ogni anno il livello del mare ha una possibilità su cento di innalzarsi di 6 piedi (182 centimetri circa). Entro il 2050, se l’aumento rispetterà le previsioni dei climatologi, i nubifragi che ad oggi capitano una volta ogni secolo diventeranno cinque volte più probabili, assumendo una frequenza generazionale. E, se il livello del mare si innalza, ogni fenomeno avrà conseguenze più gravi su tutti quegli edifici che si trovano ad oggi al livello delle acque. Non c’è alcun dubbio scientifico che la Terra si stia scaldando; il 2016 è quasi sicuramente l’anno più caldo di sempre, come in precedenza il 2015 e il 2014 lo erano stati a loro volta. Abbiamo dunque la certezza che i ghiacciai si stanno lentamente sciogliendo e, scrivono sul New York Magazine, che «l’acqua è in arrivo».

 

Le proiezioni del Climate Central. Per capirne di più, Andrew Rice è andato a Princeton, all’ufficio di Climate Central; questa organizzazione di ricerca ha sviluppato dei programmi che mappano le possibili inondazioni future, in relazione alle proiezioni sull’innalzamento del livello del mare. Le parole cariche di sconforto del climatologo Ben Strauss hanno avuto un corrispettivo visivo ben più immediato nelle carte geografiche del programma.  Gli accordi di Parigi prevedono una tolleranza fino a 1,5 gradi celsius nell’innalzamento delle temperature: un simile aumento comporterebbe 10 piedi di acqua in più entro il 2100, sufficienti a sommergere diverse parti dell’aeroporto LaGuardia e del JFK, del lungomare di Brooklyn e svariati altri pezzi di città. E questo è lo scenario più ottimistico: con 2 gradi i piedi salirebbero a 15, con 3 gradi 20 piedi, con 4 si arriverebbe a 30. In quel caso, Manhattan bassa diventerebbe un arcipelago e i tetti di Brooklyn sud assomiglierebbero a tante barchette.

 

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Questione di ottimismo? Ma stiamo parlando di previsioni certe o remote possibilità? La questione è da porre in modo diverso, secondo William Solecki, professore di geografia all’Hunter College: «Non possiamo trincerarci dietro al fatto che il futuro potrebbe essere diverso. New York non sparirà del tutto, ma certamente cambierà. E noi vogliamo capire in che modo». L’ottimismo è quasi un’imposizione culturale, secondo alcuni: «C’è una tendenza da parte degli scienziati a sottovalutare la minaccia – sostiene Naomi Oreskes, professoressa di Harvard – ; le pressioni culturali li inducono a non parlare delle ipotesi più catastrofiche. Ma gli studiosi non dovrebbero avere paura a dire le cose come stanno».

Invece di disquisire su ottimismo e pessimismo, secondo Klaus Jacob e Malcolm Bowman bisognerebbe iniziare a darsi da fare: «Ci sono molti modi per salvare la città, prima di dover scappare sulle colline – ha affermato Bowman –. Il governo dovrebbe ripensare le sue politiche e spostarsi ben lontano dall’acqua, perché tra 200 o 300 anni la città non ci sarà più per come la conosciamo adesso».

 

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Assicurazioni, edilizia e governo. L’analisi più chiara dei rischi arriva dalle assicurazioni: la Swiss Re prevede che, come conseguenza del cambiamento climatico, le perdite annuali del settore assicurativo a New York saranno più che raddoppiate entro il 2050, toccando i 4,4 miliardi di dollari. Uno studio recente da parte della società immobiliare Zillow ha rivelato che con un innalzamento di 6 piedi, circa 2 milioni di case a livello nazionale verrebbero inondate, per un danno complessivo di 882 miliardi. Ma lo spauracchio non arresta l’azione frenetica dell’edilizia. I nuovi edifici probabilmente non reggeranno l’urto di un nuovo ciclone della potenza di Sandy, ma i profitti sono così alti (anche 7mila dollari al mese) che le imprese accettano di buon grado la possibilità che tra 40 anni tutto verrà spazzato via.

Ci sarebbe poi il governo, ma per il giornalista del New York Magazine esso è più sensibile alle preoccupazioni immediate che alle prospettive di ampio raggio. Da Bloomberg in poi, i sindaci di New York hanno predicato maggiore attenzione per le misure preventive contro le inondazioni, ma hanno sempre rifiutato di limitare lo sviluppo urbanistico. Ancor più difficile sarebbe la ricollocazione delle infrastrutture: centrali elettriche, autostrade, metropolitane, ma anche i due aeroporti, entrambi vicini al livello dell’acqua. «L’amministrazione sta puntando a soluzioni immediate, costruendo dighe e altre difese per proteggere punti strategici, oppure alzando di due piedi gli edifici», ha spiegato Daniel Zarrilli, capo dell’Ufficio Recupero e Resilienza del Sindaco. Ma l’autore dell’articolo è scettico e afferma che si stanno solo sprecando soldi in tanti progetti poco utili.

 

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La catastrofe e la ritirata. Tutti questi discorsi sono davvero poco sensati se ci si proietta alla seconda metà del secolo: secondo Jacob, dal 2100 la situazione diventerà davvero critica e se le emissioni continuano su questi livelli, entro il 2200 l’innalzamento del mare sarà tra i 20 e i 30 piedi (6-9 metri). Molti architetti stanno quindi pensando a delle specie di palafitte, per lasciare vuoto il livello del terreno, come spazio pubblico allagabile. «New York potrebbe diventare la Venezia del 22esimo secolo», dice l’architetto Catherine Seavitt. Ma queste soluzioni, così come le barriere, secondo Jacob non sono sufficienti; egli propende per una ritirata gestita. «Perché l’acqua salirà, la domanda è quando».

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