«I tempi tecnici sono troppo stretti»

Niente Canone Rai nella bolletta Perché e come lo si era pensato

Niente Canone Rai nella bolletta Perché e come lo si era pensato
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La novità era praticamente ufficiale: a partire dal 2015, il canone Rai sarebbe dovuto essere pagato unitamente alla bolletta elettrica. Ma non sarà così. La decisione era stata presa dal Governo per far fronte all’ingente evasione rispetto al contributo da versare per poter vedere la tv di Stato, quantificabile in una cifra superiore al mezzo miliardo di euro. L'ultim'ora, però, è che il Governo ha fatto retromarcia, escludendo la pista che portava a questo provvedimento. La notizia trapela da fonti di Palazzo Chigi: «La riflessione in atto per ridurre e semplificare il canone è strategica, ma appare improbabile che l’ipotesi di metterlo in bolletta possa maturare entro questa legge di stabilità visti i tempi tecnici troppo stretti». La notizia va a smentire le parole del sottosegretario all’Economia Antonello Giacomelli, il quale vedeva quest'opzione non solo come la più praticabile per ridurre l'evasione, ma anche di pronta attuazione e già in vigore dal gennaio 2015. Così, invece, non sarà.

Ma perché si era pensato di integrare il costo del canone all'interno della bolletta elettrica?

Come era stata pensata riforma. In primo luogo, occorre ricordare che l’attuale legge che regola il canone risale al 1938: allora riguardava la radio ma poi è stata estesa analogicamente anche alla televisione. È chiaro quindi come una revisione di questa normativa più che vetusta fosse assolutamente necessaria.

La platea degli utenti si sarebbe allargata: per non pagare la tassa sarebbe stato necessario (sul modello della Bbc) dimostrare di non possedere una tv o anche qualsiasi dispositivo con cui sintonizzarsi sui programmi del servizio pubblico: tablet, iPad, smartphone, pc. Ciò significava che qualsiasi strumento che fornisca all’utente la possibilità di sintonizzarsi con la Rai veniva considerato soggetto tributario del canone. Le fasce di esenzione e i bonus per i meno abbienti avrebbero continuato ad esistere.

In secondo luogo, con molta probabilità, sarebbero state escluse dal pagamento le seconde case, anche se le ultime voci spiegavano che si stava ancora lavorando per trovare alcuni meccanismi che avrebbero garantito la maggiore equità possibile.

Nella speranza che la riforma offrisse i frutti sperati, era prevista una corposa diminuzione del canone: ad oggi il costo è di 113,50 euro per ogni nucleo familiare, e gli introiti derivanti da una maggior certezza di pagamento da parte di tutti non rimarrebbero nelle casse della Rai come guadagni aggiuntivi, ma verrebbero utilizzati per ridurre complessivamente la quota, che sarebbe dovuta allora variare fra i 35 e i 75 euro. La speranza, infatti, era di ottenere così introiti complessivi pari a un miliardo e 800 milioni di euro circa, da cui sarebbero dovute derivare tutte le conseguenze citate.

L'unico dubbio, prima della retromarcia del Governo, era capire quale strumento normativo sarebbe stato utilizzato per dare definitivamente avvio al progetto: la prima ipotesi prevedeva un decreto ad hoc, mentre una seconda possibilità (che pareva la via più percorribile) comportava un emendamento alla legge di stabilità. Proprio qui, secondo le prime indiscrezioni, si sarebbe impantanato il progetto: i tempi sono troppo stretti per andare ad inserire nella legge di stabilità di quest'anno un provvedimento di questa portata. Certo è che, dato lo stato disastrato delle casse della Rai e la continua ascesa dell’evasione del canone, occorre agire al più presto. Come si muoverà ora il Governo?

Le critiche al progetto. Numerose critiche sono arrivate al progetto, anche se non pare abbiano influito più di tanto sul dietrofront dell'esecutivo di Matteo Renzi. Anzitutto il Movimento 5 Stelle, in particolare il presidente della Vigilanza Roberto Fico, aveva sottolineato come al momento, piuttosto che una ricollocazione del canone all’interno della bolletta, sarebbe stato necessario pensare ad una diminuzione della quota per le fasce meno abbienti; cosa che comunque, come evidenziato, era prevista. La ADUC (Associazione per i Diritti degli Utenti e Consumatori) ha utilizzato toni molto più duri, parlando di «Stato avido, non trasparente, nemico del contribuente, anti libertà economiche e dell’informazione». Il Ministro Lupi aveva invece evidenziato la necessità, piuttosto che di ragionare sul canone, di rivedere per intero tutto il servizio pubblico televisivo, mentre, da parte della Lega, erano arrivate accuse addirittura di «furto legalizzato».

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