«Non si poteva fermare la produzione. I troppi morti? Colpa degli allevamenti»: parola del presidente di Confindustria Lombardia
Intervistato da TPI, il numero uno regionale degli industriali, Bonometti, ammette di essersi opposto all'imposizione di zone rosse e nega responsabilità delle fabbriche nell'escalation di contagi
Ora che è stato appurato che la non imposizione della zona rossa nella bassa Val Seriana è stato un macroscopico errore politico, con Governo in primis e Regione poi che non hanno voluto assumersi la responsabilità di questa scelta, resta ancora una domanda: perché? In realtà, in queste settimane, il tema è stato ampiamente sviscerato: la Val Seriana, così come la Bergamasca più in generale, rappresenta un territorio ricchissimo per l'economia italiana. Imporre la zona rossa avrebbe significato lo stop di numerosissime aziende con danni economici enormi. E nonostante Confindustria Bergamo neghi, è noto che ci siano state delle "pressioni" (sebbene soft) affinché le si evitasse lo stop totale.
Dopo tanto tempo, anche su questa questione è oggi (7 aprile) arrivata un'importante conferma: a TPI, sito nazionale che sta portando avanti da diverso tempo un'inchiesta relativa ai fatti di Alzano e Nembro, il presidente regionale di Confindustria, Marco Bonometti, ha ammesso come gli industriali siano sempre stati contrari a questa misura e abbiano fatto di tutto per evitarla. Raggiungendo, tra l'altro, il loro obiettivo. A parere di Bonometti, però, l'escalation di contagi (e di morti) che ci sono stati in Bergamasca, e più in generale in Lombardia, non sarebbe da imputare alla non chiusura delle aziende, bensì... agli allevamenti di animali. Teoria alquanto bizzarra, francamente. Se non addirittura irrispettosa nei confronti di tutti noi.
Ma andiamo con ordine. Intervistato dalla collega Francesca Nava, Bonometti ha fornito la propria versione dei fatti. A partire, per l'appunto, dalla non imposizione della zona rossa in Val Seriana. «Le polemiche le facciamo alla fine - dichiara il numero uno regionale di Confindustria -. Adesso serve salvare le vite umane e salvare l’economia. Il vero errore è stato quello di lasciare che la gente andasse in giro, andasse nei bar, nei ristoranti, nelle discoteche». E quando gli si fa notare che l'Istituto superiore di sanità aveva espressamente richiesto misure pari a quelle attuate a Codogno anche tra Alzano e Nembro, Bonometti non arretra: «Per fortuna che non abbiamo fermato le attività essenziali, perché sennò i morti sarebbero aumentati. Lo sbaglio è stato di non considerare nel codice Ateco anche le filiere dei servizi essenziali. Io ho sempre sostenuto che bisognava salvaguardare le vite umane e dall’altra parte salvaguardare la produzione essenziale, che permetteva di dare il sostentamento di salute e sicurezza ai cittadini. La verità è che buona parte di questa classe politica è incompetente».
Ma la vera domanda è una: gli industriali hanno fatto pressioni per evitare la zona rossa? «Non si potevano fare zone rosse. Non si poteva fermare la produzione. Le faccio un esempio: se oggi la Dalmine non lavorasse, io ho insistito per tenerla aperta, le bombole per l’ossigeno non ci sarebbero. Ma le bombole per l’ossigeno sono una filiera che parte dall’acciaio, alla calandratura, dalla saldatura, alla meccanica. Per fortuna che sono rimaste aperte certe attività. Noi eravamo contrari a fare una chiusura tout court così senza senso. Codogno è un paesino, non fa testo. Però ora non farei il processo alle intenzioni, bisogna salvare il salvabile, altrimenti saremo morti prima e saremo morti dopo». In altre parole: sì, gli industriali si sono opposti in ogni modo alla zona rossa.
Se pensate che, davanti ai numeri tragici dei morti, Bonometti possa quantomeno avere qualche rimorso per le scelte attuate, vi sbagliate. Lo si capisce quando Nava gli chiede come si spiega tutti i morti in Lombardia. La risposta lascia, francamente, allibiti: «Qui c’è una presenza massiccia di animali e quindi c’è stata una movimentazione degli animali che ha favorito il contagio, parlo degli allevamenti, e questa potrebbe essere una causa». E se gli si fa notare che non ci sono prove del fatto che gli animali siano veicoli di contagio, Bonometti allora afferma: «Se non sono stati ritenuti veicolo di contagio, non c’è spiegazione, anche se un’altra causa è che si tratta di zone densamente popolate da industrie e quindi la movimentazione delle merci e della gente ha certamente favorito. Non all’interno delle fabbriche, però, perché le fabbriche sono considerate per noi i luoghi più sicuri». Non c'è altro da aggiungere, francamente.