Che fa amare la pasta

Non solo dolce, salato and Co. Ora esiste anche il gusto farinoso

Non solo dolce, salato and Co. Ora esiste anche il gusto farinoso
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Non c’è cinque senza sei. Una svista numerica? Affatto, almeno se si parla di sapori alimentari, perché il nostro palato, insieme al gusto salato, dolce, acido, amaro, saporito o unami, associato a alimenti quali carne, formaggio o cibi ricchi di proteine, sarebbe in grado di riconoscere e apprezzare anche il gusto farinoso. Quello cioè dei carboidrati complessi, che impedirebbe a molti di rinunciare a un buon piatto di pasta o di riso o di patatine fritte. Lo hanno scoperto alcuni ricercatori dell'Oregon State University di Corvallis, negli Stati Uniti, che hanno pubblicato lo studio sulla rivista Chemical Senses.

 

 

Attrazione fatale. Non parliamo di donne, ma di gustose attrazioni. Quelle cioè che ci spingono a desiderare uno specifico alimento piuttosto che un altro, a tal punto da essere incapaci di rinunciarvi. È il caso degli amidacei, ossia dei carboidrati complessi, contenuti ad esempio nella pasta o anche nelle patatine fritte, il cui amido, una volta gustato, viene trasformato in zucchero e ha appunto il sapore di amidaceo, ovvero di farinoso. Gli esperti americani, che lo hanno individuato, dicono che gli asiatici lo avvicinerebbero al sapore del riso, mentre i caucasici, italiani compresi, a quello di pasta e riso. Dunque, se sulla nostra tavola un piatto di spaghetti o di fumanti chips non può mancare e cerchiamo questi cibi con l’acquolina in bocca, sarebbe colpa proprio di questo fattore gustoso.

 

 

La formazione del gusto. Fino ad oggi si credeva che le papille gustative presenti sulla lingua potessero apprezzare solo pochi gusti: cinque per la precisione, cioè dolce, salato, amaro, acido e saporito o unami. Convinzione che pare errata perché la scienza avrebbe scoperto che i sapori percepibili sono di più, infatti  alla lista andrebbe accluso almeno il gusto farinoso o amidaceo, specifico di alimenti ricchi di amidi. Questi ultimi sono costituiti da catene di molecole di zucchero, che danno energia all’organismo, e che gli enzimi presenti nella saliva scomporrebbero in catene molto più corte e in zuccheri semplici: un processo che ci consentirebbe di apprezzare il gusto dolce. In realtà, lo studio americano ha fatto un passo avanti, dimostrando che il nostro apparato è in grado di riconoscere e gustare i carboidrati ancora prima che essi vengano scomposti in molecole di zucchero, facendoci avvertire il gusto farinoso.

 

 

Alla ricerca dei ricettori. Ci vorrà ancora qualche tempo prima che l’‘amidaceo’ possa essere scientificamente riconosciuto come un sapore a sé. Infatti, occorrerà trovare delle prove che dimostrino che il gusto farinoso è attivato da specifici recettori presenti sulla lingua, che è in grado di soddisfare una serie di criteri, come ad esempio essere riconoscibile o capace di innescare delle risposte fisiologiche particolari. Proprio su questi aspetti la ricerca americana muoverà i prossimi passi, ma non si fermerà qui perché gli esperti sono convinti che esistano ancora altri gusti: fra cui quello per le bevande gassate, il sapore metallico che si ottiene dal sangue o da alcuni amminoacidi di cui sono costituiti soprattutto i cibi proteici o il kokumi, un sapore abbondante che si ritiene possa fare percepire gli alimenti come più gustosi, corposi, e di maggior soddisfazione al palato. O ancora il gusto associato agli acidi grassi, che compongono i grassi stessi. Insomma, aspettiamoci che nei prossimi anni la lista gustosa delle nostre capacità palatali si evolva con dei sapori molto innovativi.

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