«Nostro padre, Mario Myallonnier, ci ha insegnato che tutto va fatto con cura»
I figli del grande ingegnere scomparso nei giorni scorsi raccontano la dimensione umana e familiare del papà: «Per noi c’è sempre stato»
di Sergio e Giorgio Myallonnier
La partecipazione e l’affetto che hanno segnato questi terribili giorni di commiato dal nostro caro papà ci hanno reso consapevoli di quanto siamo stati fortunati ad averlo avuto come genitore. Le decine di persone che hanno voluto salutarlo e che hanno scelto di ricordarlo nei più diversi modi hanno confermato la grandezza del suo lascito umano e professionale, la consistenza del suo vissuto e il grande carisma che ha saputo esercitare sugli altri, seppure in maniera elegante e discreta.
Dalminese di nascita, raccontava sempre di essere sopravvissuto al bombardamento grazie alla prontezza di riflessi di nostra nonna che lo aveva tolto dal passeggino per rifugiarsi a ridosso di un muro; dopo la laurea si è trasferito in città per avviare l’attività professionale e nel contempo creare la famiglia.
La città ha salutato l’ingegner Myallonnier: il tecnico apprezzato, l’artefice di opere importanti, lo scrupoloso maestro di tanti giovani professionisti che in questi giorni sono passati nel suo studio per un ultimo saluto. Di questo si è detto molto nei giorni scorsi, ma non si è raccontato abbastanza della sua dimensione umana e familiare, lontana anni luce dall’immagine dell’uomo troppo impegnato professionalmente per dedicarsi ai propri cari, del marito che demanda alla moglie l’educazione dei figli e la gestione della casa per occuparsi unicamente della gratificazione lavorativa.
Nostro padre c’è sempre stato: finché siamo rimasti in famiglia l’abbiamo avuto a tavola in ogni pranzo al ritorno da scuola e ha sempre condiviso con nostra madre ogni scelta e ogni fatica che riguardasse la nostra famiglia, i luoghi che abbiamo abitato o verso i quali abbiamo viaggiato. I 53 anni di matrimonio e di unione professionale con la mamma, sono stati il segno di questa intesa straordinaria, l’esempio che ha segnato la nostra educazione e che ha raggiunto anche i suoi adorati nipoti.
Se è impossibile ricordare in poche righe la mole dei suoi insegnamenti, possiamo certamente sintetizzare il senso più profondo del suo lascito nell’idea forte che le cose vanno fatte con cura, si tratti di mettere un chiodo per un quadro, di disossare un pollo, di restaurare un monastero quale Astino o di costruire un parcheggio interrato, ai tempi innovativo, come quello di Piazza della Libertà, di recuperare strutture di secoli fa come stava ancora facendo, prima di lasciarci, presso l’ Aula Picta nel cuore di Bergamo Alta, ma infine anche solo per consigliare un amico per la ristrutturazione della propria casa.
L’attenzione al dettaglio, la ricerca del particolare interessante, il desiderio di non lasciare nulla di trascurato, sono state le ragioni della sua affermazione professionale e, al contempo, del suo successo educativo. Un ultimo appunto: la ricetta per fare le cose con cura, poiché non tutti hanno questa tensione alla accuratezza, prevede un ingrediente fondamentale: rompere i co......i alle persone, espressione che pronunciava spesso e che, grazie alla sua ironica eleganza, non suonava mai volgare. Significava solo: pretendere il massimo dagli altri, così come lui lo pretendeva da se stesso e da noi, nel lavoro e nella vita. Anche in questo è stato un maestro, anche per questo lo amiamo e cercheremo di continuare nel suo ricordo.