Omicidio di Fara, le dichiarazioni di Fumagalli al processo: «Mi sentivo in un tunnel buio»
L’uomo ha parlato poco di quanto accaduto la sera dell’omicidio, spiegando invece lo stato in cui si sarebbe trovato
Un «tunnel buio»: così lo ha definito Carlo Fumagalli, l’uomo che il 19 aprile 2022 ha ucciso Romina Vento a Fara Gera d’Adda, quando ha dovuto descrivere il periodo di depressione che stava attraversando dall’inizio di quell’anno. Lo ha fatto oggi, venerdì 10 marzo, nell’aula del Tribunale di Bergamo dove deve render conto di quanto successo, quando quella sera si è lanciato con l’auto nel fiume, la compagna accanto, per poi spingerle la testa sott’acqua e affogarla.
Un periodo di depressione e la terapia dallo psicologo
Nel momento in cui ha potuto rendere delle dichiarazioni spontanee, però, come riportato da BergamoNews l’imputato ha deciso di parlare poco e niente di quanto avvenuto il giorno dell’omicidio, ripercorrendo piuttosto i precedenti travagli interiori che lo avrebbero trasformato in un uomo diverso. «Io e Romina eravamo insieme dal 1997, abbiamo cercato di costruirci una vita stabile e crescere i nostri bambini in modo adeguato – ha raccontato Fumagalli -. Mi sono accorto che negli ultimi anni davo tutto per scontato, forse non vedevo più i suoi bisogni. Già dall’estate (del 2021, ndr) mi ero accorto che i suoi sentimenti nei miei confronti erano cambiati. Così ho cercato di rimediare, ma più io mi avvicinavo più lei si allontanava e io cadevo in depressione. Ero assillato dai dubbi, volevo recuperare il rapporto ed ho iniziato a farmi aiutare da uno psicologo».
L’aggravarsi della paranoia e l’interruzione delle cure
Uno psicologo da cui, secondo i dettagli dal Corriere Bergamo, a un certo punto ha iniziato a partecipare alle sedute anche Romina, convinta dall’uomo. In quella sede, però, a gennaio era venuta fuori la verità: la donna aveva ammesso che, pur volendogli ancora bene, di fatto non lo amava più. Allora lo stato depressivo di Fumagalli aveva iniziato a tramutarsi, sempre secondo la sua versione, in uno stato di paranoia sempre più preoccupante: era infatti convinto di essere osservato al lavoro ed a casa da qualcuno, forse più persone, che tramavano alle sue spalle per distruggere la sua vita ed il rapporto che aveva con la compagna.
A un certo punto, l’imputato aveva deciso di interrompere la terapia, pensando così di dimostrare a Romina che era in grado di uscire da quella situazione da solo: le cose, però, erano peggiorate. Fino al picco di marzo ed aprile: «Non andavo più nemmeno a trovare i miei, dopo il lavoro andavo subito a casa, la assillavo cercando di riconquistarla, ma lei si sentiva soffocare ed ho peggiorato la situazione – è poi andato avanti Fumagalli -. Lei aveva il diritto di essere felice e io gliel’ho tolto. Ora in carcere la sogno otto notti su dieci, è un pensiero fisso. Non parlo più, sto tutto il giorno in branda. Non mi perdonerò mai».
Il timore di affrontare i figli
Il rimorso è anche nei confronti della madre e del fratello della vittima: «mi hanno sempre accolto come un figlio» ha detto, poi il pensiero è andato subito ai suoi figli, in particolare ai due minorenni avuti con Romina, di 13 e 17 anni: «Come posso incontrarli, dire loro che mi mancano, che voglio loro bene, quando ho tolto loro la mamma?» si è domandato. «Accetterò qualsiasi cosa mi diranno» ha affermato, poco prima del momento di tornare in carcere.