L'accusa di frode

Omicidio di Yara e l'indagine per depistaggio: il procuratore Chiappani dalla parte della pm Ruggeri

Il numero uno di Piazza Dante difende l'operato della collega, sotto la lente del gip di Venezia per la conservazione di 54 provette di Dna

Omicidio di Yara e l'indagine per depistaggio: il procuratore Chiappani dalla parte della pm Ruggeri
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Continua a non rilasciare dichiarazioni la pm Letizia Ruggeri, indagata per frode processuale e depistaggio delle indagini sull’omicidio di Yara Gambirasio. Sulla questione delle 54 provette contenenti tracce biologiche, spostate nel 2019 dal frigorifero dell’ospedale San Raffaele di Milano all’ufficio Corpi di reato del tribunale di Bergamo, parla invece il procuratore capo di Bergamo, Antonio Chiappani.

Le parole del procuratore

La pm Letizia Ruggeri

Il procuratore, a L'Eco di Bergamo, ha detto: «Non riesco a capire che incidenza possano avere 54 provette che contengono residui di Dna già ampiamente analizzati e consumati, a fronte di tre sentenze che hanno confermato la colpevolezza di Bossetti; e, in particolare, a fronte di analisi effettuate dal Ris e confermate dai consulenti che hanno utilizzato kit diversi da quelli del Ris. Analisi che hanno confermato fino a 28 marcatori di Ignoto 1, la cui comparazione con Bossetti nemmeno la difesa ha messo in discussione. E per l’attribuzione nel 2012 ne bastavano 21 di marcatori, mentre oggi ne sono sufficienti 17».

Provette «già ampiamente analizzate»

La decisione del pm di Venezia Alberto Scaramuzza, che ha risposto alle denunce di Bossetti e dei due legali Claudio Salvagni e Paolo Camporini,continua quindi a non essere compresa dal procuratore di Bergamo, che aggiunge: «Noi della Procura non avevamo alcun interesse a nascondere le provette, già ampiamente analizzate e oggetto di discussione in plurime udienze della Corte d’assise. Mi chiedo quale norma imponga il mantenimento dei reperti all’infinito dopo che una sentenza è passata in giudicato».

La ricostruzione di Chiappani

Nella sua ricostruzione Chiappani ricorda che le provette sono state crio-conservate fin dal 28 febbraio 2013 nei laboratori del San Raffaele e da lì sono state spostate solo il 21 novembre 2019, dopo che la sentenza era passata in giudicato da più di un anno e in applicazione del IV comma dell’articolo 262 del codice di procedura penale, in virtù del quale, «dopo la sentenza non più soggetta a impugnazione, le cose sequestrate sono restituite a chi ne abbia diritto, salvo che sia disposta la confisca».

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