La finale persa dall'Atalanta

A Orio e al Parco di Sant'Agostino unghie mangiate e tanta delusione

A Orio e al Parco di Sant'Agostino unghie mangiate e tanta delusione
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Non solo 21 mila persone a Roma, non solo cinquemila in Piazza Vittorio Veneto. A Bergamo c'erano almeno altre due piazze: una in Sant'Agostino, l'altra a Oriocenter. Maxi schermi da entrambe le parti, umori identici. Grande entusiasmo per la partita che avrebbe potuto riscrivere la storia di questa squadra, e che invece ha consegnato alla Lazio la settima Coppa Italia.

 

 

A Oriocenter, fin dal calcio di inizio boati di varia entità hanno accompagnato i momenti chiave: l'ingresso in campo dei nostri, il primo piano Rai dedicato a Gasperini, il primo contropiede con lo scambio Ilicic-Gomez sulla fascia che ha portato il Papu al tiro in porta dopo soli 2'. La folle mischia che si è conclusa con un palo, due tiri murati e un colpo di testa di poco a lato. Pochi secondi dopo, l'inequivocabile inquadratura sul fallo di mano di Bastos: tra urla, espressioni da censura, mani alzate per invitare ad andare a quel famoso “paese”, ripetute e fitte domande («perché non vanno a rivederlo?»). La partita poi è andata avanti, è diventata cattiva, e a ogni entrata dei biancocelesti sulle caviglie (soprattutto quelle di Ilicic...) quasi tutti i sventolavano i pugni mimando il gesto del cartellino. Quello rosso, per la cronaca, non è mai arrivato. Anche se Correa l'ha chiesto su Masiello: un fallo che ha diviso i presenti a Oriocenter tra chi invitava il biondo laziale, autore poi del gol del definitivo 0-2, a rialzarsi («non è mica fallo!») e chi comunque, pur riconoscendo il fallo di Masiello, lo esortava a non esagerare con le richieste all'arbitro, dato che la richiesta dell'attaccante era addirittura un cartellino rosso. Poi, la partita è andata come sappiamo.

A Orio le persone erano arrivate circa un'ora prima, occupando praticamente ogni angolo disponibile della food court. Un tifoso racconta: «Sono venuto qui perché a Bergamo c'era troppo casino, e siccome sono qui con i bambini ho preferito venire in un luogo un po' più tranquillo». Un altro invece racconta: «Abitando in provincia avevo paura che andando in centro mi sarei perso il calcio di inizio. E poi stanotte tornano in aeroporto, almeno siamo già qua. Ho già detto a mia moglie che se vinciamo non mi vede fino a domani pomeriggio. E anche al mio capo: “Domani tira dritto, prendi tu il carretto e in cantiere vacci tu”. Se perdiamo invece ho detto a entrambi che non ci vediamo fino almeno a venerdì, perché sarò in lutto». Speriamo che il nostro amico si faccia vivo, non solo perché “è una semplice partita di calcio” (a questa non ci crede nessuno...), ma anche perché comunque – e a Roma lo avevano capito già ieri – questa squadra è il nostro orgoglio: lo è stata in momenti molto peggiori di questo a livello di risultati, non smetterà di certo di esserlo oggi. E abbiamo le carte in regola per scrivere altre pagine importanti. E magari alzare la coppa il prossimo anno.

 

 

In Sant'Agostino sono partiti fin da subito alcuni cori sincronizzati con il tifo di Roma. Giulia, tifosa presente, racconta: «Sono stati bei momenti, l'atmosfera era molto calda anche se tesa. Sigarette, unghie tormentate, poche proteste persino sul rigore, ma perché eravamo tutti paralizzati per la tensione». Leggero rammarico per la posizione dello schermo: «Tanta gente si è seduta con le sedie in mezzo alla folla, e quindi, essendo lo schermo in cima alla collinetta e la folla comunque consistente, tanti si sono trovati troppo in fondo per vedere, me compresa, e ai lati si vedeva male ovviamente». I momenti chiave, manco a dirlo: «Oltre al rigore, la partita è stata piuttosto noiosa perché loro continuavano a picchiare, il gioco era fermo ogni cinque minuti». Alla fine, nonostante la delusione, applausi e qualche coro anche in Sant'Agostino. E la ferma convinzione che, se esistono “vincitori morali”, quelli siamo (anche) noi.

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