Disuguaglianze del Belpaese

Osservatorio Salute: a Bergamo si vive tre anni di più di Napoli

Osservatorio Salute: a Bergamo si vive tre anni di più di Napoli
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La speranza di vita per un bambino o bambina che nascesse oggi a Bergamo è di 83 anni e qualche settimana. Lo ha reso noto un rapporto sulla Salute degli italiani pubblicato nei giorni scorsi. Il dato di Bergamo è allineato con quello delle altre provincie lombarde, dove svettano Pavia e Monza con quasi un anno di più. Meglio ancora Firenze, miglior città d’Italia in questa classifica, l’unica nella quale la speranza di vita supera l’asticella del 84 anni.

L'Italia spaccata in due. Ma la vera notizia contenuta nella ricerca è un’altra. L’Italia è spaccata in due. Stando alla classifica regionale, in Campania nel 2017 gli uomini vivono mediamente 78,9 anni e le donne 83,3; nella Provincia Autonoma di Trento 81,6 gli uomini e 86,3 anni le donne. In generale, la maggiore sopravvivenza si registra nelle regioni del Nord-est, dove la speranza di vita per gli uomini è 81,2 anni e per le donne 85,6; decisamente inferiore nelle regioni del Mezzogiorno, nelle quali si attesta a 79,8 anni per gli uomini e 84,1 per le donne. La ricerca mette in luce in particolare l’enorme svantaggio delle province di Caserta e Napoli che hanno una speranza di vita di oltre 2 anni inferiore a quella media nazionale, seguite da Caltanissetta e Siracusa che palesano uno svantaggio di sopravvivenza di 1,6 e 1,4 anni rispettivamente.

 

 

Le ragioni. È un divario che si spiega con diverse ragioni. La principale è certamente legata alle condizioni di maggior deprivazione delle persone in queste zone. «I divari di salute sono particolarmente preoccupanti quando sono cosi legati allo status sociale, poiché i fattori economici e culturali influenzano direttamente gli stili di vita e condizionano la salute delle future generazioni», evidenzia il rapporto dell’Osservatorio. «Un tipico esempio è rappresentato dall’obesità, uno dei più importanti fattori di rischio per la salute futura, che interessa il 14,5% delle persone con titolo di studio basso e solo il 6% dei più istruiti. Anche considerando il livello di reddito gli squilibri sono evidenti: l’obesità è una condizione che affligge il 12,5% del quinto più povero della popolazione e il 9% di quello più ricco. I fattori di rischio si riflettono anche sul contesto familiare, infatti il livello di istruzione della madre rappresenta un destino per i figli, a giudicare dal fatto che il 30% di questi è in sovrappeso quando il titolo di studio della madre è basso, mentre scende al 20% per quelli con la madre laureata».

 

 

Le differenze sociali. Anche la differenza di titoli di studio è determinante per la durata della vita. Secondo i dati del Rapporto un cittadino può sperare di vivere 77 anni se ha un livello di istruzione basso e 82 anni se possiede almeno una laurea; tra le donne il divario è minore, ma pur sempre significativo: 83 anni per le meno istruite, circa 86 per le laureate. Insomma le differenze sociali si sentono eccome. Prendiamo il caso dell’assistenza sanitaria: la rinuncia alle cure per motivi economici incide sulla possibilità di fare prevenzione o di seguire cure tempestive. «Nella classe di età 45-64 anni», dice l’Osservatorio, «le rinunce ad almeno una prestazione sanitaria è pari al 12% tra coloro che hanno completato la scuole dell’obbligo e al 7% tra i laureati. La rinuncia per motivi economici tra le persone con livello di studio basso è pari al 69%, mentre tra i laureati tale quota si ferma al 34%». Insomma un’Italia una Paese con due velocità e con due vite.

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