Cosa accade intanto in Israele

La Palestina Stato sovrano? Londra vota sì (simbolicamente)

La Palestina Stato sovrano? Londra vota sì (simbolicamente)
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A 20 anni esatti dall’assegnazione del Premio Nobel per la Pace a Yasser Arafat, Isaac Rabin e Shimon Peres, la Camera dei Comuni inglese ha detto sì alla mozione per il riconoscimento dello Stato Palestinese. Per evitare polemiche, il premier David Cameron (conservatore) e i suoi ministri si sono astenuti dal voto, che era stato preceduto da un acceso dibattito, promosso dai laburisti dell’opposizione, a capo dei quali c’è Ed Miliband, ebreo; l’indicazione di partito, per i laburisti, era un voto a favore o, in caso contrario, un’astensione. La mozione è passata, alla fine, con 274 sì e 12 no.

Questo non significa naturalmente che la Gran Bretagna abbia già riconosciuto la Palestina come Stato, naturalmente; il sottosegretario per il Medio Oriente, Tobias Ellwood, precisa che questo potrà avvenire solo al momento opportuno: «L’aspirazione del popolo Palestinese non può essere completamente realizzata fino a che non si ponga fine all’occupazione e questo potrà avvenire solo attraverso i negoziati. La Gran Bretagna riconoscerebbe bilateralmente lo stato Palestinese se questo servisse a fare un passo verso la pace».

Il voto dei parlamento britannico, seppur simbolico e non determinante per le decisioni della politica estera britannica, segna un passo storico. Ai deputati inglesi era stata inviata anche una lettera firmata da oltre 300 israeliani, tra cui uomini politici, rappresentanti della società civile, attivisti, scienziati e artisti di centro sinistra. Chiedevano di votare a favore del riconoscimento della Palestina come Stato nel dibattito previsto in parlamento. Parte della lettera recitava: «Noi sottoscritti israeliani, che abbiamo a cuore il benessere di Israele, crediamo che l'esistenza e la sicurezza di Israele dipenda dall'esistenza e dalla sicurezza di uno Stato palestinese».

La proposta è parte di un progetto più ampio finalizzato a rafforzare la tesi dei “Due Stati per due popoli”, che prevede una nazione palestinese autonoma accanto a una israeliana. Tutto ciò con precisi confini, sostanzialmente quelli del 1967.

Israele non ha esitato a muovere le prime critiche. Il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman definisce la scelta britannica come «un’iniziativa prematura che mina le chance di raggiungere la pace». Va ricordato che la Gran Bretagna, nel 2011, fu uno degli Stati che si astennero durante il voto a favore del riconoscimento della Palestina come “stato osservatore” all’Assemblea generale delle Nazioni Unite.

 

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La Svezia e gli altri Stati che la pensano così. Il voto della Gran Bretagna arriva a pochi giorni di distanza dal riconoscimento dello Stato palestinese da parte della Svezia, che ha suscitato non poche polemiche da parte israeliana e americana. Per l’America, il riconoscimento svedese è stato prematuro, mentre Israele ha criticato duramente come antisemita la dichiarazione del primo ministro svedese e ha richiamato l’ambasciatore. Secondo il governo israeliano, riconoscere la Palestina come Stato significa bloccare il processo di pace. La Svezia è stato il primo grande Paese occidentale a riconoscere lo stato palestinese. In tutto il mondo, sono 134 gli Stati che hanno riconosciuto la Palestina come entità statale.

Perché la Palestina non è uno Stato. Questo non fa automaticamente, della Palestina, uno Stato. Nel diritto internazionale, infatti, esistono quattro criteri fondamentali, codificati nella Convenzione di Montevideo del 1993, che un soggetto deve rispettare affinché gli possa essere riconosciuta la qualifica di Stato. L'esistenza di una popolazione permanente, un territorio definito, un potere di governo esclusivo e la capacità di relazionarsi con altri Stati. Di questi quattro elementi alla Palestina manca sostanzialmente il potere di governo esclusivo: oltre alla lotta tra Hamas e Fatah ci sono funzioni statali che in Cisgiordania sono svolte da Israele in base agli accordi di Oslo. Il territorio, inoltre, a causa della colonizzazione israeliana non può essere definito.

Cosa accade, intanto, in Israele. Al centro delle polemiche e delle contestazioni che ormai quotidianamente provocano disordini a Gerusalemme c’è l’apertura di un corridoio per l’accesso degli ebrei al loro luogo santo. Quello che i musulmani chiamano Spianata delle Moschee, gli ebrei Monte del Tempio. È un luogo sacro per musulmani, cristiani e ebrei, e le tre religioni se lo sono conteso per secoli. Qui sorgono le due grandi moschee, al-Aqsa e la Cupola d’Oro che insieme formano l’haHaram al-Sharif, cioè il nobile santuario: al-Aqsa sarebbe il luogo dove Maometto compì il suo miracoloso viaggio di una notte a Gerusalemme, mentre dalla Cupola d’Oro Maometto salì al cielo per prendere il suo posto accanto ad Allah. Per questo l’area è il terzo luogo più sacro per l’islam sunnita. Qui per gli ebrei sorgeva il Tempio, al cui interno c’era il sancta sanctorum, la dimora di Dio sulla terra, che nessun uomo poteva calpestare. Per questo motivo agli ebrei, dai rabbini stessi, è interdetto l’accesso all’area. Ma gli estremisti rivendicano il proprio diritto sul luogo dove dovrebbe un giorno risorgere il Tempio di Salomone mentre prega a ridosso del muro sottostante. I cristiani hanno qui il luogo dove durante la prima crociata i cavalieri templari stabilirono la loro sede, ma la santità del luogo deriva dal fatto che vi si svolsero molti momenti della vita di Gesù, tra cui le sue dispute con i sacerdoti. Come sempre accade in Terra Santa le diatribe legate alla religione si trasferiscono sul piano pubblico e politico. Oggi sulla Spianata possono accedere i turisti solo in alcune ore, mediante un apposito accesso e mai di venerdì e sabato, i musulmani sempre tranne le eccezioni che di volta in volta vengono stabilite dalla polizia, gli ebrei in teoria mai. A controllare gli accessi c’è la polizia israeliana.

 

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La creazione di un corridoio per permettere agli ebrei di accedere alla Spianata delle Moschee scortati dalla polizia ha suscitato non poco le ire dei palestinesi, che hanno protestato lanciando sassi contro la polizia. La polizia ha risposto sparando granate stordenti, lacrimogeni e proiettili di acciaio ricoperti di gomma. In questi giorni ricorre la festa ebraica di Sukkot, o delle capanne, che ricorda la permanenza degli ebrei nel deserto dopo la liberazione dalla schiavitù dall'Egitto. Le forze di sicurezza israeliane hanno vietato per questi giorni l’accesso alla Spianata agli uomini palestinesi con meno di 50 anni e a tutte le donne, per evitare ulteriori disordini in occasione della festa.

L’Onu condanna la politica israeliana. Il voto del parlamento britannico è arrivato nel giorno in cui il Segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon ha condannato l’occupazione illegale dei territori palestinesi da parte dei coloni israeliani e la politica del governo Netanyahu a favore delle colonie. In questi giorni Ban Ki-Moon si trova in visita nella regione e oggi dovrebbe recarsi a Gaza. Si è detto «molto preoccupato per le provocazioni che si ripetono nei luoghi santi di Gerusalemme», riferendosi ai continui scontri che si verificano sulla Spianata delle Moschee tra fedeli musulmani e esercito israeliano: «devono cessare», ha detto Ban.

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