Il Califfato per ora si ritira

Palmira, la "sposa del deserto" scampata alle devastazioni dell'Isis

Palmira, la "sposa del deserto" scampata alle devastazioni dell'Isis
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Chiunque sia stato a Palmira non può dimenticare l’emozione che si prova vedendo il sole che tramonta, o sorge, tra le rovine. Uno spettacolo di rara bellezza che la furia jihadista ha messo a dura prova. Ma, per ora Palmira è salva. È rientrato l’allarme per l’invasione dell’Isis in uno dei siti archeologici più belli al mondo. Se l’Isis a Palmira avesse vinto, sarebbe stata una catastrofe, sarebbero andati distrutti secoli di storia e perdute per sempre le rovine della città, che si estendono su un’area di 140 ettari e dal 1980 sono patrimonio Unesco. Va precisato, però, che Palmira ha già subito pesanti danni dalla guerra che in Siria imperversa dal 2013. I carri armati e le batterie di missili hanno ripetutamente straziato tutti gli edifici monumentali che ne facevano una meta d’obbligo, il tempio di Baal, i colonnati del Decumano, il teatro e anche i Propilei che avevano retto a più di un terremoto.

 

 

Almeno 300 vittime. Secondo quanto diffuso dall’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria, l’ong vicina ai ribelli siriani con sede a Londra, l’esercito siriano è riuscito a respingere l’attacco delle milizie dello Stato Islamico. Ci sarebbero state 300 vittime: 57 civili, 125 militari e 115 miliziani dello stato Islamico. Dopo la sconfitta gli jihadisti avrebbero riparato verso Ramadi, anche se è stato diffuso un video in cui il sedicente Califfo Abu Bakr Al Baghdadi afferma di puntare su Baghdad. Per capire la portata di una eventuale devastazione è utile ripercorrere cosa rappresenta Palmira per il patrimonio culturale e archeologico mondiale.

Palmira, la sposa del deserto. «Palmira è una nobile città, per il sito in cui si trova, per le ricchezze del suolo, per la piacevolezza delle sue acque. Da ogni lato distese di sabbia circondano i suoi campi, ed ella è come isolata dal mondo per opera della natura». Così si esprimeva nel 77 dopo Cristo Plinio il Vecchio in merito all’oasi di Palmira, nel cuore del deserto siriano. Arrivando dai chilometri di nulla pietroso quale è il deserto siriano, a un certo punto appare un’oasi rigogliosa e verdeggiante, quasi irreale, alle spalle della quale sorgono le rovine di un passato glorioso. Palmira, tra il I secolo avanti Cristo e il III secolo dopo Cristo, era divenuta una città prospera ed eclettica, punto d’incontro delle piste carovaniere provenienti dall’Estremo Oriente, dall’India e dalle coste del Mediterraneo, tanto da essere soprannominata la “sposa del deserto”. I commerci l’avevano resa ricca e cosmopolita. L'architettura e l'urbanistica, che ancora oggi si possono scorgere tra le rovine, riflettevano la fusione tra le diverse culture. Imponente è il tempio di Baal, con i suoi propilei, che hanno resistito a distruzioni e terremoti. Dal tempio alla via colonnata, imponente nella sua grandezza, era larga 7 metri e decorata da un ampio portico, alto circa 10 metri, le cui colonne mantenevano con l’aiuto di mensole 1000 statue, che rappresentavano i personaggi più importanti di Palmira. A sovrastare l’area delle rovine il grande castello arabo. Ma la storia di Palmira e della sua magnificenza va di pari passo con la storia della sua regina, Zenobia.

 

 

Zenobia, la regina del deserto. Figlia di mercanti, a 20 anni andò in sposa al sessantenne Odenato, signore di Palmira. Era bella Zenobia, di una bellezza quasi irraggiungibile narrano le cronache, dagli occhi scuri e la pelle ambrata. Regnò, prima in compagnia del marito, poi, da sola dopo la sua morte, dal 267 al 272 d.C. Odenato era morto fatto uccidere proprio da lei, e quando si ritrovò sola al potere, riuscì a cacciare le legioni romane e a costituire un vasto impero. Zenobia era anche molto colta: sapeva le lingue, l'egiziano, il greco e il latino, e conosceva la storia egiziana e di Alessandria tanto bene da scriverne un compendio; non casuale l'interesse per la storia dell'Egitto, terra impregnata dal culto della grande Iside e nel quale le regine tolemaiche avevano svolto ruoli non di secondo piano.

 

 

Le ambizioni di Zenobia. Oltre che bella era ambiziosa. Preferiva dire di discendere da Semiramide, da Didone e da Cleopatra piuttosto che di appartenere alla famiglia dei Seleucidi, anche sapendo che tale discendenza le avrebbe meglio garantito la legittimità del regno; esse infatti costituivano un modello per le sue aspirazioni e sostenevano, con il loro luminoso esempio, le sue ambizioni. E tra le ambizioni principali c’era quella che Palmira diventasse la capitale di un regno che offuscasse la potenza dell’odiata Roma. Il sogno di Zenobia era che Palmira riuscisse a rendersi indipendente da Roma e divenire Signora d’Oriente, riunendo sotto di sé la Siria, l'Egitto, l'Asia Minore, l'Arabia, regioni tutte nominalmente parte dell'impero romano, ma in realtà sfuggite al suo controllo.

 

 

La fine della gloria. In un primo tempo l’imperatore Aureliano tollerò l’intraprendenza di Zenobia, ma quando si rese conto che il suo potere aumentava a dismisura e che il suo dominio si estendeva sulla Siria, l’Egitto, la Mesopotamia e la Palestina, si allarmò e capì che doveva intervenire. Mandò un esercito in Siria che sbaragliò l’esercito della regina. Zenobia, offuscata dalla sua sfrenata ambizione, aveva sottovalutato il suo nemico e la disfatta fu inevitabile. Oltre alla sconfitta le toccò anche l’umiliazione: Aureliano la fece prigioniera e la trascinò a Roma costringendola a sfilare in corteo, fiero del suo trionfo. Da prigioniera visse confinata in una villa lussuosa, sorvegliata come una schiava, ma il suo fascino era talmente ammaliante che riuscì a conquistare il cuore di Aureliano, il quale divenne suo amante e la trattò come una regina. Anche se il rimpianto di non essere riuscita a realizzare le sue ambizioni la accompagnò fino alla morte.

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