L'invito a innovare

Il Papa contro le pensioni d'oro: «Sono un'offesa al lavoro»

Il Papa contro le pensioni d'oro: «Sono un'offesa al lavoro»
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«Le “pensioni d’oro” sono un’offesa al lavoro non meno grave delle pensioni troppo povere, perché fanno sì che le diseguaglianze del tempo del lavoro diventino perenni». Nell’intervento che ha avuto tanto impatto mediatico fatto a una folta rappresentanza della Cisl ha toccato anche il tema che tanti ritengono uno scandalo non più giustificabile nel sistema Italia. Le pensioni d’oro erano state messe nel mirino proprio dalla Cisl bergamasca pochi giorni fa con un documento che fotografava la situazione della provincia, dove sono quasi mille coloro che percepiscono assegni superiori ai 5mila euro al mese. Il sindacato, che ha nei pensionati oggi il più importante serbatoio di iscritti, giustamente puntava il dito contro la forbice troppo larga tra i tanti che percepiscono assegni poco superiori ai 600 euro e questo ristretto gruppo di privilegiati. Secondo i calcoli fatti dalla Cisl a fronte di una media di assegni mensili di 1200 euro, ci sono in provincia 8mila pensioni sopra i tremila euro: quindi c’è una forbice troppo larga, che il sindacato ha bollato come “immorale”, tra quei fortunati e quel 39 per cento che vivrebbe con assegni da 629 euro al mese.

 

 

Il Papa condivide ma va oltre. E suggerisce al sindacato di guardare al di là di quel perimetro che rischia di essere “corporativo”. Usando una parola che oggi “tira” molto ha detto che il sindacato deve sapere innovare. «Il sindacato non svolge la sua funzione essenziale di innovazione sociale se vigila soltanto su coloro che sono dentro, se protegge solo i diritti di chi lavora già o è in pensione. Questo va fatto, ma è metà del vostro lavoro. La vostra vocazione è anche proteggere chi i diritti non li ha ancora, gli esclusi dal lavoro che sono esclusi anche dai diritti e dalla democrazia». In sostanza: l’errore è quello di arroccarsi nella difesa di una parte della società dimenticando la parte che oggi non solo è più esposta e più fragile, ma che in proiezione non potrà neanche lontanamente godere dei diritti di cui ha goduto chi l’ha preceduta. Se questo dovesse accadere, il sindacato finirebbe per diventare un partito: cioè una formazione che sta dalla parte di chi lo vota o lo sostiene iscrivendosi. Invece bisogna avere il coraggio di alzare la testa oltre il muro e vedere chi è rimasto fuori.

 

 

È un’immagine anche biblica quella che il papa ha evocato (non a caso ha citato il profeta Amos che denunciava la dimenticanza degli ultimi). Lo ha fatto per incitare il sindacato a riscoprire la propria natura profetica che rischia di smarrire. A lavorare per «un nuovo patto sociale umano, un nuovo patto sociale per il lavoro, che riduca le ore di lavoro di chi è nell’ultima stagione lavorativa, per creare lavoro per i giovani che hanno il diritto-dovere di lavorare». I giovani sono una delle periferie più dimenticate nella società di oggi. Sono stati privati di quella dote che nella storia, anche nelle stagioni di grande povertà, hanno sempre avuto: la dote del lavoro.  «Il dono del lavoro è il primo dono dei padri e delle madri ai figli e alle figlie, è il primo patrimonio di una società». Chi ha orecchie per ascoltare, ascolti.

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