Meno tre

Parafrasi di ciò che ha detto Renzi per capire chi sarà il Presidente

Parafrasi di ciò che ha detto Renzi per capire chi sarà il Presidente
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Meno tre. Giovedì 29 gennaio ci sarà la prima riunione plenaria del Parlamento per l’elezione del Presidente della Repubblica, e a tre giorni dall’appuntamento si possono ancora fare ben pochi pronostici rispetto ai nomi che usciranno dalle urne di Montecitorio. O meglio, la rosa dei candidati è più o meno definita, salvo clamorosi colpi di scena stile 2013 con il Napolitano-bis, ma stabilire con certezza chi possa essere un passo avanti agli altri è cosa ardua e complicata. Domenica 25 gennaio Renzi ha parlato, e forse per la prima volta dall'inizio della querelle quirinalizia sono emersi alcuni dati significativi: il Premier è stato cauto rispetto a certi punti e più netto rispetto ad altri, così che con un esercizio di parafrasi del suo discorso è possibile trarre indicazioni interessanti.

«Il Pd voterà scheda bianca ai primi tre scrutini». Giusto per dare una rinfrescata alle regole, nelle prime tre votazioni il quorum da raggiungere affinché si possa eleggere un nuovo Presidente della Repubblica italiana è dei due terzi dei votanti, in questo caso quindi 672, mentre dal quarto scrutinio in poi ne bastano la metà più uno, quindi 505. Di tentare il colpo grosso con una larga maggioranza, quindi, Renzi proprio non ne vuole sapere e preferisce andare a giocarsi la partita quando i singoli voti acquistano un maggior peso.

Grazie al mastodontico lavoro fatto nei giorni scorsi da Il Foglio, è possibile farsi un’idea dei numeri di cui Renzi dispone: l’intera area dem è composta da 460 parlamentari, mentre il Patto del Nazareno comprende 275 voti sicuri del Pd, 130 di Forza Italia, 32 di Scelta Civica e 70 di Ncd e Udc, per un totale di 507, a cui si possono aggiungere eventuali voti del Gruppo Misto e altri certi da parte dei delegati regionali, giungendo ad un’approssimativa cifra di 580. Numeri che, oltre a suggerire al Premier di far leva sulle alleanze trasversali piuttosto che sulle ricuciture interne al suo partito, spingono a cominciare a giocare solo dalla quarta votazione in poi, onde evitare figuracce in sede delle prime tre. Quindi, il nuovo Presidente si sceglie con Silvio, non ci sono più dubbi: Prodi e Mattarella possono pure considerare la propria corsa al capolinea.

«Niente terne di nomi, ne proporremo uno solo». Che tradotto significa mettere alle strette tutte le parti in gioco: mantenere indeterminatezza sul candidato privilegiato è un assist troppo goloso per tutti coloro che intendano tenersi in equilibrio fino all’ultimo. Renzi allora propone un aut aut: questo è il nome della maggioranza, e quindi quello sul quale occorre convergere, chi ci sta fa il bene del Paese, chi tergiversa pensa solo ai propri tornaconti. Un rischioso gioco che coinvolge soprattutto le minoranze del Pd (i grillini appartengono ad un’altra galassia).

«Non scommetto sulla vostra fedeltà, ma sulla vostra intelligenza” (alle minoranze Pd). Conseguente corollario di quanto detto sopra, con un’ulteriore demarcazione sull’utilità dei dissidenti: l’auspicio è quello di una scelta ragionata e responsabile da parte di tutti, ma della fedeltà il Premier dimostra di non interessarsi, come a dire, “Ehi, guardate che ce la faccio anche senza di voi”.

«Noi siamo il Pd, abbiamo la possibilità di riscattare quanto successo nel 2013». Il riferimento alla fronda dei 101, che due anni fa fece saltare la candidatura di Prodi, è evidente, così come la speranza di evitare un tira e molla di cui vergognarsi di fronte ai cittadini. Quindi, un nome condiviso al massimo, che eviti brutte sorprese in sede di scrutinio. Un aspetto che, in coppia con il recente monito di Renzi di evitare candidatura troppo “di squadra”, brucia diversi altri candidati: Piero Fassino e Walter Veltroni, ma anche Gianni Letta e Casini.

«Con ogni probabilità, non ci sarà  spazio per un Presidente donna». Addio a qualsiasi velleità di fiocchi rosa alla porta del Quirinale. L’impressione però è che questa chiusura non sia dettata tanto da un rifiuto rispetto all’idea in sè - le quota rosa sono sempre state un baluardo del nuovo corso Renzi (le nuove regole dell’Italicum lo confermano) e sarebbe un inspiegabile scivolone ritrattare tutto proprio su una circostanza così delicata come l’elezione del Capo dello Stato -, quanto dalla mancanza di una candidata unificatrice: Anna Finocchiaro non piace a Renzi, Laura Boldrini manca del necessario background, Paola Severino è ormai troppo impopolare, Roberta Pinotti non sembra in grado di reggere il compito, e Marta Cartabia è totalmente digiuna di palazzo e di politica. Già, la politica: Renzi ha detto, pochi giorni fa, che: «Il prossimo Presidente sarà come Napolitano», e non si pensi all’età o ai trascorsi partitici, bensì al fatto che ci si concentrerà su un profilo strettamente politico e non tecnico. Il che significa tanti a saluti ai vari Padoan, Draghi, Monti e Visco (anche se, riguardo a quest’ultimo, gli ottimi rapporti con tutte le parti politiche potrebbero avere il loro peso).

«Vedremo se l’M5S capirà che questa è la volta buona». Forse l’aspetto più scontato dell’intera vicenda, ovvero che neanche stavolta con Grillo e soci ci sarà dialogo. Il popolo pentastellato, mentre due anni fa serrò i ranghi intorno al costituzionalista Rodotà-tà-tà, questa volta non ha in serbo alcun candidato, limitandosi a scendere in piazza per chiedere che in questa elezione ci sia finalmente dell’onestà-tà-tà e a snocciolare i soliti “vaffa” di rito. Ma oggi l’M5S fa meno paura del 2013, perché la situazione numerica, in questi due anni, è radicalmente cambiata.

La partita quindi, almeno nella testa di Renzi, sembra, al netto di eventuali candidature dell’ultimo minuto e di quanto detto a proposito di Visco, vertere su un preciso centravanti di sfondamento: Giuliano Amato. Che, fra l'altro, piace anche agli americani.

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