L'intervista di Bossetti a Repubblica
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È in carcere dal 16 giugno 2014, con l'accusa di essere l'assassino di Yara Gambirasio, la 13enne di Brembate Sopra scomparsa il 26 novembre 2010 all'uscita della palestra comunale dove si era appena allenata. Lei, piccola ginnasta, non ha più fatto ritorno a casa da quella sera. Il suo corpo è stato ritrovato il 26 febbraio 2011, tre mesi esatti dopo la sua sparizione, in un campo a Chignolo d'Isola. Ci sono voluti oltre tre anni d'indagine, una «indagine che ha fatto scuola» per i mezzi impiegati secondo la Procura di Bergamo, per individuare il famoso Ignoto 1, l'uomo a cui, secondo gli inquirenti, apparteneva il frammento di Dna individuato sui vestiti della tredicenne il giorno del suo ritrovamento. Da giugno Ignoto 1 ha un nome e un cognome, secondo la pm Letizia Ruggeri e tutto il suo team: Massimo Giuseppe Bossetti, muratore 44enne di Mapello, marito di Marita Comi e padre di tre figli, il più grande della stessa età, oggi, della piccola Yara.
Sin da subito l'opinione pubblica s'è divisa: chi vede in quell'uomo il mostro che ha strappato la vita ad una giovane ragazza e chi, invece, vede in Bossetti il capro espiatorio di un'indagine che avrebbe fatto acqua da tutte le parti, sin dai primi giorni. Contro il muratore il Mapello pesa, come un macigno, il Dna ma, per quanto è dato sapere, fino ad oggi poco altro. Dalla Procura filtrano indiscrezioni, ma niente di concreto. Le uniche certezze sono che Bossetti si trova in carcere da 204 giorni, di cui 134 passati in isolamento, e che il pm Letizia Ruggeri ha deciso di non richiedere il giudizio immediato e andare a processo.
Martedì 6 gennaio, per la prima volta, Bossetti ha deciso di rispondere alle domande. Non a quelle degli inquirenti, bensì a quelle di un giornalista. Attraverso il suo legale, Claudio Salvagni, il presunto assassino ha rilasciato un'intervista a Paolo Berizzi de La Repubblica, intervista che abbiamo deciso di riproporvi integralmente.
[Cliccate sull'immagine per andare al file pdf dell'intervista]
"I miei 200 giorni in cella con il pensiero di Yara, ma il killer non sono io, il test del dna è sbagliato"
«Dal 16 giugno, il giorno del mio arresto, le hanno provate tutte per farmi confessare. Speravano che prima o poi sarei crollato. Ma non confesso un delitto che non ho commesso. Il killer di Yara non sono io, lo dimostrerò in aula, davanti ai giudici. Però vorrei un processo giusto. Anche nei tempi».
Così si apre l'intervista a Bossetti. Non si sa ancora la data di inizio del processo che lo vedrà imputato di omicidio volontario con l'aggravante della crudeltà. Il 25 febbraio, però, è attesa l'udienza della Cassazione che dovrà valutare la richiesta di scarcerazione avanzata dalla difesa, al momento respinta sia dal gip di Bergamo che dal Tribunale del Riesame di Brescia.
«Sono stato dipinto come un mostro - dice Bossetti - accusato di un reato orribile. Ma io con la morte di quella povera ragazzina non c'entro niente. In carcere le rivolgo ogni giorno un pensiero. Spero che processo venga fuori la verità».
Perché ha deciso di parlare?
«Perché hanno fatto indagini in un'unica direzione, è come se l'opinione pubblica, i media, mi avessero già condannato. Ancora prima del processo. Invece sono pronto a dimostrare la mia innocenza: e lo farò in aula. Non sono io il killer di Yara».
C'è il suo Dna sugli indumenti della vittima, ci sono le immagini delle telecamere di Brembate che riprendono il suo furgone vicino alla palestra dove è sparita Yara.
«Sul mio Dna deve essere stato fatto un errore. Io, come ho sempre detto, non ho mai conosciuto né visto Yara. Dopo la Cassazione con il mio avvocato chiederemo eventualmente la ripetizione dell'esame del Dna».
Per dimostrare cosa?
«Ammesso sia davvero mia, quella traccia potrebbe essere finita lì, come ho detto ai magistrati, a causa dell'epitassi di cui soffro da sempre. Anche sul lavoro. Il mio sangue potrebbe essere finito su degli attrezzi usati dall'assassino. In cantiere ho perso spesso sangue dal naso, lo sanno anche i miei colleghi. Non ha accusato nessuno, ma ho offerto spunti, piste alternative. Finora non mi hanno ascoltato».
E il suo furgone ripreso a girare attorno al centro sportivo fino a pochi minuti prima della scomparsa di Yara?
«Quelle immagini non provano niente. Ho raccontato e confermato che passavo sempre spesso da Brembate di Sopra tornando da lavoro. Anche per delle commissioni. Che il mio furgone sia stato ripreso per strada dalle telecamere non fa di me un assassino. Non ho mai fatto mistero delle mie abitudini, delle mie giornate. Ho raccontato tutto della mia vita, anche i particolari più intimi e privati. Ho ribadito di essere disposto a rispondere a qualsiasi domanda in nome della ricerca della verità. Dopodiché la mia memoria non è indelebile».
Si è contraddetto sugli spostamenti di quel giorno.
«Sfido chiunque a ricordarsi esattamente che cosa ha fatto quattro anni prima, soprattutto quando ha una vita fatta di giornate fotocopia, una identica all'altra. Il fatto è che hanno rivoltato la mia vita e non hanno trovato niente. Come non hanno trovato nessuna traccia riconducibile a Yara sul mio furgone e sulla mia auto. E nemmeno su tutto quello che hanno sequestrato con le perquisizioni in casa. Non avevo e non ho segreti, altrimenti credo che sarebbero emersi».
Sul suo pc sono state trovate ricerche su "sesso" e "tredicenni", con particolari anatomici precisi: per l'accusa sta lì il movente dell'omicidio.
«L'ho già detto in interrogatorio, è capitato che abbia guardato dei siti porno con mia moglie. Ma io non ho mai fatto ricerche o visto video con minori (la difesa di Bossetti ha spiegato che quei clic potrebbero avere tutt'altra spiegazione scientifica, ndr)».
La chiusura delle indagini è imminente, poi si andrà a processo.
«Sono pronto a difendermi. Ma chiedo un processo giusto. Anche nei tempi. La giustizia in Italia è lentissima: perché nel mio caso corre così velocemente? (va detto che i termini - 180 giorni dal fermo - entro i quali il pm avrebbe potuto richiedere il giudizio immediato, che fa saltare l'udienza preliminare, sono scaduti, ndr)».
Lei è accusato di avere ucciso una ragazzina, di averla massacrata abbandonandola in un campo.
«Yara aveva la stessa età di uno dei miei tre figli (gli altri due hanno 8 e 10 anni, ndr). Non potrei mai fare una cosa così atroce. È come se la facessi a uno dei miei bambini. Immagino il dolore devastante dei familiari di Yara, mi sono sempre messo nei loro panni, fin dal primo giorno. A Yara rivolgo un pensiero ogni giorno. A lei e anche alla mia famiglia, che continua a credere nella mia innocenza e mi sta vicino».
Che cosa dice a chi si stupisce del fatto che in questi sei mesi e mezzo in cella non ha mai avuto un crollo, nemmeno un piccolo cedimento?
«È il mio carattere, sono fatto così. Cerco di farmi forza ogni giorno. Se sei in carcere da innocente puoi avere dentro anche tutta la disperazione del mondo ma, allo stesso tempo, trovi anche la forza per non mollare. Ho ricevuto pressioni fortissime, hanno cercato di convincermi in ogni modo a confessare: hanno provato a allettarmi con il conto degli anni, la riduzione della pena, 20 anni anziché 30... Speravano che crollassi. Ma non ho confessato perché non ho niente da confessare».
Sua moglie, i suoi figli, i suoi genitori continuano a venire a trovarla.
«Quando vedo i miei figli e i miei genitori mi commuovo. Sapendo che sono incontri a termine, concentro tutto in quell'ora: poi rimane il vuoto. Se fossi colpevole, al mio avvocato l'avrei detto. Anche per chiedergli un aiuto su come affrontare, appunto, i miei familiari».
Il reato di cui è accusato è inaccettabile nel codice non scritto dei carcerati. Riceve ancora minacce?
«Sì, le ultime mi sono arrivate con una lettera spedita da un detenuto di un altro carcere. Mi ha scritto "quando esci ti stacco la testa e la porto ai Gambirasio". Però adesso in cella va meglio, da quando mi hanno tolto dall'isolamento ho socializzato con gli altri detenuti. Mi sento un po' più sollevato. Aspetto il processo. Ho paura di una condanna, certo. Ma credo ancora nella giustizia».
[Claudio Salvagni]
A margine dell'intervista a Bossetti, è il suo legale Claudio Salvagni a parlare: «Puntiamo a scrivere una storia molto diversa da quella che è stata scritta finora dalla Procura. Bossetti è innocente, lo credo al di là del mio ruolo di difensore». Salvagni, inizialmente, era affiancato dalla collega Silvia Gazzetti, la quale però ha rimesso il proprio mandato, parlando di posizioni inconciliabili con Salvagni. Molti hanno visto, in questa decisione, una rottura nel fronte difensivo, ma l'avvocato di Como smentisce, dice di rispettare la scelta della Gazzetti e dichiara di non voler commentare le decisioni di altri. Il suo unico obiettivo, al momento, è scagionare Bossetti: «Ci sono molti elementi che la Procura non ha preso in considerazione. Li tireremo fuori, con le controperizie».