Il messaggio di Mattarella

Ecco le parole più ripetute (che dicono molto di lui)

Ecco le parole più ripetute (che dicono molto di lui)
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Il modo di parlare può dire tanto di un uomo. Per capire e familiarizzare con lo stile di Sergio Mattarella è utile indagare sulle parole che ricorrono con maggiore frequenza e sulla sintassi dei suoi discorsi.

Iniziamo dalle ricorrrenze. Oggi nel primo discorso al Parlamento una delle parole più usate è stata una parola inattesa: “comunità”. Ricorre sette volte nelle 2342 parole complessive del testo. Solo il riferimento all’Italia e agli italiani è più frequente, ma sono parole che sono un po’ “d’ufficio” sulla bocca di un presidente che inaugura il suo mandato. Comunità invece è termine nient’affatto scontato, anche perché Mattarella lo cita in riferimento a più contesti, da quello globale a quello invece nazionale. È un refrain che colpisce anche perché lo troviamo ad inizio e soprattutto a fine discorso quando Mattarella si augura che l’Italia sempre più si concepisca come «popolo che si senta davvero comunità». Dietro questa parola si nasconde la storia e l’identità del nuovo presidente: un uomo che non è nato per la politica, ma che si è dato alla politica per una ragione molto personale e umana, la morte del fratello Piersanti. Ma nel curriculum di Mattarella conta in modo decisivo l’esperienza associazionistica, in particolare nella Fuci, e l’amicizia con i gesuiti palermitani. È cresciuto in un tessuto di comunità e lì ha conservato i suoi riferimenti di metodo.

Una seconda parola che si segnala per frequenza è giovani (assommato al termine “ragazzi” ricorre 9 volte). È un riferimento che è nell’ordine delle cose, data l’emergenza che le nuove generazioni stanno vivendo nel nostro Paese. Ma anche in questo caso l’approccio non è scontato. Mattarella si compiace di veder davanti a sé i volti di tanti «giovani parlamentari». Poi ha un piccolo colpo d’ala con un passaggio in cui i giovani non sono più evocati come categoria sociologica esposta alle tempeste della crisi, ma sono “volti”. Volti di persone che si affacciano agli uffici pubblici, per cercare qualche risposta sul proprio futuro, e che l’amministrazione deve imparare a guardare in faccia.

C’è una terza parola che lascia il segno nel discorso di Mattarella: è “famiglia”. Il discorso cade ben quattro volte sul tema, con un tono tutt’altro che formale, sino al passaggio in cui con chiarezza dice che bisogna sostenere «la famiglia, risorsa della società». Quindi la “famiglia” nella sua imprescindibile valenza sociale: parole che richiamano quelle di papa Francesco nel recentissimo (e stupendo) discorso per la Giornata delle Comunicazioni sociali. Si capisce che anche in questo caso conta l’esperienza personale, di una famiglia vissuta come energia positiva, capace anche di superare le prove drammatiche della storia. Il fatto che Mattarella abbia atteso la sua nomina “in famiglia” è un fatto che ha un suo valore simbolico più profondo di qaunto si creda. In particolare dopo avere ascoltato le sue parole di questa mattina.

Infine c’è una caratteristica sintattica ben precisa nel parlare di Mattarella. Lui procede per frasi brevi, costellate di punti. È un linguaggio sobrio, che tiene a bada la retorica. Un linguaggio che ignora i colpi ad effetto e gli effetti speciali. Si può dire che il suo ruolo istituzionale lo porta a questo. Ma qui c’è di più: si capisce che il modo di parlare è spia del suo modo di essere. Se qualche accenno di commozione passa, è sempre trattenuto e affidato a pochi accenni. Il linguaggio di Mattarella è riservato, concreto, impermeabile ad ogni forma di narcisismo. L’Italia aveva bisogno di una repulisti linguistico di questo tipo…

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