Perché Berlusconi per Roma ha preferito Bertolaso a Marchini
Finalmente, dopo mesi di estenuanti toto-nomi, candidature più o meno fittizie e imprevedibili dietrofront, il centrodestra ha trovato l’uomo giusto per aspirare al Comune di Roma alle prossime elezioni amministrative: Guido Bertolaso, noto a tutti per essere stato il numero uno della Protezione Civile per un annetto circa a fine anni Novanta e poi per un decennio fra il 2001 e il 2011.
La candidatura di Bertolaso è arrivata dopo che Giorgia Meloni si era fatta da parte, dal momento che ha ritenuto poco saggio affrontare una campagna elettorale incinta, dopo che Rita Dalla Chiesa ha cortesemente rifiutato, e, soprattutto, dopo che con Alfio Marchini non si è riusciti a venirne ad una. Per un momento, infatti, sembrava che il candidato perfetto per il centrodestra fosse proprio l’imprenditore romano, già membro dell’ultimo consiglio comunale in qualità di indipendente, a seguito della partecipazione da autonomo all’ultima corsa al Campidoglio, quella che ha visto aprirsi la breve e tragicomica parentesi di Ignazio Marino. Difficile capire perché Berlusconi e Marchini, alla fine, abbiano deciso di voltarsi le spalle, così come non è facile spiegarsi la candidatura di Bertolaso, un profilo politicamente non molto esperto. E nella fosse dei leoni che è Roma è chiaro come una certa dimestichezza con le questioni di palazzo non possa che tornare più che utile. Proviamo allora a fare un attimo di chiarezza.
Niente Marchini, alla fine. Alfio Marchini è un imprenditore di Roma, noto alle cronache politiche poiché, nel 2013, si candidò alle elezioni comunali della Capitale da indipendente, ovvero non legato ad alcuna sigla partitica; riuscì comunque ad ottenere quasi il 9,5 percento, che gli permise di entrare in consiglio comunale assieme ad altri due esponenti della sua lista. Marchini ebbe un ruolo decisivo nella caduta di Ignazio Marino, poiché, grazie ad un accordo con il Pd, si unì al gruppo di consiglieri che votarono per le dimissioni del sindaco, permettendo a Renzi e soci di ottenere la tanto agognata destituzione di Marino. Un nome dunque conosciuto a Roma, che gode di discreta fama e, soprattutto, vale da solo circa il 10 percento dei consensi, se i numeri del 2013 dovessero essere rimasti intatti.
Il centrodestra, alla smaniosa caccia di un contendente credibile per il Campidoglio, mise in fretta gli occhi su Marchini, che dalla sua, oltre a quanto già detto, ha il fatto di non aver militato in nessun partito, cosa che agli occhi dei romani avrebbe potuto rappresentare certamente un bonus, rendendolo un candidato puro rispetto agli oscuri intrighi di palazzo e partito che hanno offuscato la Capitale negli ultimi mesi. A dire il vero, Alfio non ha mai mostrato un particolare entusiasmo all’idea di candidarsi sotto l’egida del centrodestra, senza mai però del tutto escludere l’idea: pareva quasi, si potrebbe dire, che volesse farsi corteggiare a dovere prima di cedere, forse per testare quanto effettivamente Berlusconi e i suoi credessero davvero in lui. Essere un semplice parafulmine dei guai capitali del centrodestra, a Marchini, proprio non andava giù come prospettiva.
Alla fine, però, è stato proprio il Cavaliere ad abbandonarlo, virando su Bertolaso. Una decisione che, forse, ha le radici proprio nella stretta vicinanza che Marchini a dimostrato nei confronti del Pd durante la vicenda Marino. Non che Alfio sia un uomo di sinistra, certamente: però, in un città in cui gli equilibri politici non sono mai stati così delicati e sul filo del rasoio (gli ultimi sondaggi danno centrodestra, Pd e M5S pressoché alla medesima percentuale), candidare un soggetto che possa dare l’aria a più di un elettore di essere con un piede di qui e un altro chissà dove potrebbe non essere la scelta giusta per attirare il consenso necessario. E Dio solo sa quanto il centrodestra abbia bisogno di un’affermazione forte, di prestigio, per cercare di ricostruirsi. Tutti elementi che hanno portato Berlusconi e i suoi a non ritenere Marchini l’uomo giusto per suscitare gli entusiasmi di una città che comunque, strutturalmente, ha una forte impronta di destra.
E allora Bertolaso. Contestualmente a quella di Marchini è saltata anche la candidatura di Rita Dalla Chiesa, portata avanti da Giorgio Meloni in seguito alla sue decisione di non presentarsi in prima persona. Ma la magistrata di Forum ha declinato l’offerta, ben conscia che a meno di non essere dei veri e propri eroi, offrirsi oggi come oggi alla giostra elettorale sotto le sigle del centrodestra può facilmente tramutarsi in una carneficina. E la Dalla Chiesa, comprensibilmente, non aveva molta voglia. E allora, alla fine, ecco Bertolaso, scelto personalmente da Berlusconi e digerito più o meno educatamente dalla Meloni e decisamente più di malavoglia da Salvini. Si tratta di un nome piuttosto strano: Bertolaso, in qualità di capo della Protezione Civile, ha collaborato molto con il Cavaliere durante gli ultimi due governi di quest’ultimo, ma ha sempre espresso chiaro e tondo di non sentirsi affatto berlusconiano, tanto da non aver mai dato il proprio voto a Forza Italia in vita sua.
La scelta di Bertolaso, dunque, è dettata anzitutto da equilibri interni al centrodestra: Berlusconi voleva un candidato scelto da lui, non dalla Meloni e tanto meno da Salvini, poiché lasciare la decisione nelle mani di uno degli alleati avrebbe significato un netto cambio di mano nella leadership della coalizione. E Berlusconi di dar l’impressione di non essere più il numero uno del centrodestra proprio non ci ha mai nemmeno pensato. Doveva scegliere lui l’uomo giusto, e ha scelto Bertolaso. Il quale, tutto sommato, è uno che ha costruito la propria carriera in mezzo ai disastri e alle emergenze, e Roma in questo periodo può essere tranquillamente catalogata come tale. E non si tratta affatto di una battuta, visti gli enormi problemi urbanistici e sociali che affliggono la Capitale. In questo senso, Bertolaso è senza dubbio un uomo di esperienza, pur con qualche pecca nel curriculum: il G8 di Genova del 2001 non se lo è ancora dimenticato nessuno.
Le grandi perplessità sono due, però: in primo luogo, Bertolaso è ancora sotto procedimento per alcune accuse di corruzione legate proprio al G8, e per essere stato uno dei responsabili della mancata previsione del terremoto de L’Aquila. È superfluo sottolineare come, in una campagna elettorale, una situazione del genere possa ritorcersi contro in maniera pesantissima. In secondo luogo, Bertolaso manca del giusto bagaglio di esperienza politica per sopravvivere alla vita romana. L’impressione, insomma, è che Bertolaso non abbia molte possibilità di spuntarla nella corsa al Campidoglio, e che il centrodestra abbia infine optato più per una candidatura a non perdere, piuttosto che per una che potesse realmente scombinare le carte. Anche perché, a dirla tutta, di gente disponibile ad assumersi un onore del genere in questo momento proprio non ce n’è.