Perché il nuovo fair play finanziario la dà vinta ai paperoni del calcio

A partire dall’1 luglio scorso, sono entrate in vigore le nuove regole dell’ormai celeberrimo Financial Fair Play, il Fair Play Finanziario, quell’intricato e sgradito elenco di regole dettate dalla Uefa (l’ente comandante del calcio europeo) in merito alla gestione economica finanziaria delle società calcistiche. Una decisione, quelle di rivedere le norme, arrivata in seguito alle molte proteste giunte un po’ da tutti i campionati continentali, dove grandi magnati e ricchi proprietari di squadre lamentavano l’impossibilità di investire quanto vorrebbero nel proprio team. D’altra parte, quello che era l’intento cardine del FFP, riequilibrare i rapporti di forza fra le grandi società e quelle con minori risorse, ha generato una dinamica esattamente opposta, con una crepa fra top club e resto del mondo che è andata sempre più ingigantendosi. Analizziamo allora quella che è la nuova disciplina del FFP.
Il cambio di rotta: priorità agli investimenti. Meno austerity, più investimenti: questa la nuova filosofia della Uefa. Per favorire gli ingressi di denaro e non limitarli, aiutando sia chi è in regola, sia i nuovi azionisti che magari si ritrovano con debiti derivanti da gestioni passate (Roma, ad esempio). Molto hanno pesato le pressioni mediatiche di club ricchissimi come Manchester City e Psg, che si sentivano bloccati o quantomeno limitati dalla normativa, pur disponendo di ingenti quantità di denaro per ripianare i propri investimenti nel medio-lungo periodo. E anche, non lo escludiamo, le modifiche sono state fatte per evitare che club storici e con un largo bacino di tifosi (come Inter e Milan), restando fuori dalle Coppe europee e trovandosi in difficoltà finanziaria, non riescano a ricostruirsi, perché bloccati dai limiti del FFP. Il punto fondamentale della nuova normativa, dunque, riguarda la facoltà concessa alle società di sforare il tetto dei 30 milioni di deficit senza incorrere in sanzioni. Come? Attraverso la possibilità di spalmare su 4 anni il saldo del proprio debito: io oggi spendo 100 e genero quindi un “buco” di 70 rispetto al consentito, ma dimostro (attraverso un attendibili piano di entrate derivanti da diritti tv, sponsor, marketing eccetera) che nei prossimi 4 anni posso rientrare di questo rosso del bilancio attraverso futuri ricavi e introiti. Questo accordo che una società prende con la Uefa viene chiamata “voluntary agreement”.
Sanzioni ancor più dure. Tutto ciò detto, se la Uefa ha sì allentato la propria morsa sui club, ha anche predisposto sanzioni molto aspre in caso di mancato rispetto dei patti presi. Finora, gli inghippi in cui incorrevano i club in caso di violazione delle norme riguardavano multe tutto sommato leggere, dilazionabili in più anni e alleggeribili per buona condotta, o l’obbligo di presentare nelle Coppe europee una rosa di 21 giocatori invece che 25; da oggi, invece, le pene saranno molto salate, spaziando da sanzioni pecuniarie parecchio ingenti fino a pluriennali esclusioni dalle competizioni continentali (Champions League ed Europa League). Più margine di manovra e di investimento per i club, dunque, ma maggior responsabilità richiesta.
Il ritorno al folle calciomercato. La sensazione, dunque, è che si tornerà ad assistere alle spese folli che hanno caratterizzavano il mercato fino a 2-3 anni fa. Chi ha una proprietà forte e un club che guadagna tanto (su tutti, le società di Premier League), potrà spendere di più. Denaro porta denaro. Sceicchi e magnati, che possono sborsare a dismisura e dimostrare di rientrare tranquillamente nelle spese (soprattutto grazie a sponsorizzazioni personali che permettono, in qualsiasi momento, di ripianare il deficit aumentando i contratti di sponsoring, come nei casi di Manchester City e Psg), soprattutto in un periodo ampio come un quadriennio, potranno scatenarsi già in questa sessione di mercato. E chi non ha tanto denaro da investire e fatica ad avere ricavi importanti, puntando sull’auto-sostentamento? Questi club saranno, molto probabilmente, penalizzati. Non tanto per la loro gestione, ma perché non arriveranno mai a pareggiare le cifre di chi sa che ora può spendere più liberamente e senza rispettare il vincolo dei 30 milioni di debito annui, creando squadre più forti, quindi tendenzialmente vincenti, e di conseguenza ancora più ricche. È la prova che, al di là qualche singolo e fugace caso, il calcio (vincente) è sempre più appannaggio di chi ha il soldo.