L'imputato insiste: «Non è il mio»

Perché la Corte ha fatto a Bossetti una sola domanda (sul suo furgone)

Perché la Corte ha fatto a Bossetti una sola domanda (sul suo furgone)
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L’attesa era tanta, ma alla fine il colpo di scena è arrivato, ancora una volta, dalla difesa. Al Tribunale di Bergamo, mercoledì 16 marzo si è tenuta una nuova e attesa udienza del processo nei confronti di Massimo Bossetti, l’uomo accusato dell’omicidio di Yara Gambirasio. Dopo che la scorsa settimana l’imputato ha risposto alle domande del pm Letizia Ruggeri, della parte civile e della difesa, questa volta Bossetti ha dovuto dare risposta ai dubbi della Corte d’Assise, composta dal presidente Antonella Bertoja e dai giudici popolari. L’udienza è cominciata in ritardo rispetto alle precedenti, alle 10 circa, proprio per lasciare il tempo ai giudici di confrontarsi tra loro circa l’interrogatorio. Alla fine, un po’ a sorpresa, a Bossetti è stata rivolta soltanto una domanda: «Perché esclude che il furgone ripreso dalle telecamere sia il suo?».

 

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[Antonella Bertoja, presidente della Corte d'Assise che giudica Bossetti]

 

Lo scontro sull'Iveco Daily di Bossetti. Il tema del filmato, ritenuto dall’accusa una prova, che mostra un furgoncino Iveco Daily (stesso modello di quello di proprietà di Bossetti) aggirarsi per la zona della palestra di Brembate Sopra la sera del 26 novembre 2010, ovvero quella della tragica scomparsa di Yara, è sin dalle prime battute del processo molto discusso. Mentre l’accusa, infatti, ritiene quel filmato un elemento schiacciante, la difesa l’ha sempre attaccato duramente, arrivando addirittura a parlare di video “montato” ad arte. Il filmato, infatti, non figura nel fascicolo del processo e, come ammesso durante la propria deposizione in aula dal colonnello Giampietro Lago, comandante del Ris, era solo un video diffuso appositamente per i media. I Ris, infatti, hanno utilizzato solo pochi frame di quel filmato per identificare il furgone. In particolare quelli della videocamera della ditta Polynt in via Caduti dell’Aeronautica. Partendo da quella immagine gli scienziati in divisa sono risaliti al passo del mezzo, stabilendo con certezza il modello. Poi hanno trovato una macchia di ruggine identica a quella presente sul veicolo di Bossetti. Le altre immagini in cui si vede il passaggio di un furgone nel buio, riprese dalla pompa di benzina di via Locatelli, non sono state invece considerate perché non v’è certezza che si tratti proprio del mezzo del presunto killer.

È anche vero, però, che nell’udienza del 16 dicembre, ovvero circa un mese e mezzo dopo la polemica del filmato, il luogotenente Vincenzo Nobile, capo del laboratorio video fotografico dei Ris, davanti alla Corte ha spiegato come 15 particolari del furgone ripreso dal frame della telecamera della Polynt di via Caduti dell’Aeroneutica mostrerebbero una corrispondenza tra il veicolo ripreso e quello sequestrato a Bossetti. È dunque probabile che si tratti dello stesso mezzo. Si va dalle strisce sulle fiancate al serbatoio, dal tappo del carburante alle cassette degli attrezzi, fino alle macchie di ruggine nelle stesse posizioni. Nobile spiegò di non poter essere più certo soltanto per un «eccesso di cautela» necessario in casi del genere.

 

bossetti furgoncino

[Telecamera Polynt di via Caduti dell'Aeronautica]

 

Bossetti fermo: «Non è il mio furgone». Davanti a un dibattito così acceso (neppure per la prova del Dna lo scontro tra accusa e difesa è arrivato a livelli di tensione tali), la Corte ha dunque ritenuto necessario chiedere numi a Bossetti, che la scorsa settimana, rispondendo alle domande del pm Letizia Ruggeri, aveva negato una volta in più che il furgoncino ripreso dalle telecamere di Brembate Sopra fosse il suo. Anche stavolta, con tono della voce fermo, l’imputato ha confermato la propria versione: «Quel furgoncino non è il mio». Bossetti aveva chiesto di potere analizzare nuovamente il filmato, ma la Bertoja gli ha concesso soltanto di commentare una serie di immagini tratte dal video. Il carpentiere di Mapello le ha osservate con attenzione, poi ha spiegato: «La cabina può essere simile, ma l’allestimento è diverso. In particolare la barra di protezione sul cassone, che nel mio sporge meno, e la cassa degli attrezzi, che in questo è doppia». Il pm è intervenuto per contestare le parole di Bossetti, il quale ha ribattuto con fermezza, senza lasciare spazio ad ulteriori scambi tra le parti. La Corte, dopo aver ascoltato la risposta dell’imputato, si è detta soddisfatta e ha deciso di non porgere altre domande. Il tema del furgoncino, dunque, pare essere l’unico su cui la Bertoja e i giudici popolari hanno ancora dei dubbi, o quantomeno sul quale le spiegazioni fino ad ora fornite dai consulenti dell’accusa sono risultate essere meno convincenti.

Il mistero delle figurine. La parola è così passata alla difesa, con l’avvocato Paolo Camporini (il suo collega Claudio Salvagni era assente) che ha mostrato diversi album di figurine portati in aula da Marita Comi, moglie dell’imputato anche oggi presente in aula. Secondo la difesa si tratterebbe degli album che Bossetti ha comprato ai figli nell’edicola di Brembate Sopra dove ha detto di andare abitualmente nel periodo della scomparsa di Yara, fatto smentito invece dall’edicolante, che ha sempre detto di non riconoscere nell’imputato un suo cliente abituale. Bossetti ha anche aggiunto che «l’edicolante aveva il mio numero e mi chiamava quando arrivavano le serie mancanti». Da qui la richiesta della difesa di acquisire i tabulati dei telefoni del commerciante citato da Bossetti. Con questa richiesta dei legali dell’imputato si è chiuso il suo interrogatorio, durato complessivamente ben tre udienze.

 

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[I legali di Bossetti: a sinistra Paolo Camporini, a destra Claudio Salvagni]

 

Parola ai testimoni della difesa. Sono poi iniziate le deposizioni dei testimoni della difesa. Il primo a presentarsi davanti alla Corte è stato Giovanni Ruggeri, 17enne che all’epoca dei fatti aveva appena 11 anni. Allora aveva raccontato agli inquirenti che, qualche settimana dopo la scomparsa di Yara, aveva visto fuori dalla palestra di Brembate Sopra un furgone bianco (senza cassone, chiuso) con fuori una ragazza e tre uomini. Allora aveva anche fornito una minuziosa descrizione di questi soggetti, in particolare della ragazza. In quest’udienza, però, ha ammesso di non ricordare più gran parte di quei particolari che aveva fornito più di 5 anni fa agli inquirenti. Successivamente è stato Mauro Rota, papà di una ragazza che frequentava il centro sportivo di Brembate Sopra e che conosceva Yara Gambirasio, a presentarsi sul banco dei testimoni. L’uomo ha ricordato un episodio avvenuto il martedì precedente la scomparsa della 13enne, quando vide due uomini fermi nel parcheggio del centro sportivo. Infine a parlare è stato Dominic Salsarola, l’archeologo forense che si occupò, insieme alla professoressa Cristina Cattaneo, delle operazioni di recupero della salma di Yara nel campo di Chignolo d’Isola e dei prelievi del terreno circostante. L’uomo ha ripercorso brevemente le tappe del suo lavoro.

Il colpo di scena: i fascicoli sulle morti di Eddy Castillo e Sarbjit Kaur. L’udienza si è chiusa con due esplicite richieste della difesa. Primo: acquisire i filmati delle riprese video effettuate dalle telecamere di un’azienda nelle vicinanze del cantiere dove i cani dell’unità cinofila avevano inizialmente portato gli investigatori e che era stato al centro delle indagini fino a quando non venne ritrovato il corpo di Yara a Chignolo d’Isola. Video che la difesa non avrebbe mai visionato. Una richiesta però contestata dal pm, che la ritiene tardiva. Secondo: acquisire i fascicoli degli atti relativi all’omicidio di Eddy Castillo, operaio di 26 anni di origini dominicane e residente ad Almenno San Bartolomeo ucciso il 16 gennaio 2011 nello stesso campo di Chignolo in cui, meno di un mese dopo, fu rinvenuto il cadavere di Yara, e del decesso di Sarbjit Kaur, 21enne indiana trovata priva di vita nel fiume Serio a Cologno un mese dopo la scomparsa della 13enne di Brembate Sopra, caso che era stato archiviato dalla Procura come suicidio. Una richiesta che la difesa aveva già avanzato alla Corte qualche tempo fa e che era stata rigettata perché ritenuta non attinente al caso. Camporini, spiegandola, ha però sottolineato come «le lesioni sul corpo della giovane indiana fossero simili a quelle sul corpo di Yara». La Corte si è riservata di valutare le richieste e ha rinviato l’udienza a venerdì 18 marzo, quando il processo proseguirà con l’audizione di altri testimoni della difesa.

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