Perché la Francia fa tanti figli (Merito di sussidi pensati bene)
All’inizio di questa settimana, l’Ufficio Statistico dell’Unione europea (Eurostat), ha diffuso un interessante report sul grado di fertilità di ciascun Paese membro, calcolato sulla media di figli per ogni donna. Inutile sottolineare il fatto che l’Italia si sia piazzata nei bassifondi di questa classifica (solo Grecia, Spagna, Portogallo, Cipro e Polonia ci succedono): la questione demografica e il progressivo invecchiamento del popolo italiana è tema ben noto da tempo. Interessante invece notare che la Francia è il Paese dell’Ue con il maggior numero di figli nati per ciascuna donna, ben 2,01 di media; ed è ancor più interessante constatare che il motivo di questo primato non sta in una maggior carica ormonale dei nostri cugini transalpini, ma semplicemente nella presenza di politiche sociali improntate al sostegno delle famiglie, che portano i francesi a decidere di mettere al mondo pargoli con il cuore un po’ più leggero degli altri.
Perché proprio in Francia. Ragionando da un punto di vista storico, questo primato della Francia sarebbe stato impensabile fino a qualche decennio fa: negli anni Settanta e Ottanta, infatti, la situazione demografica era davvero critica, con un invecchiamento incontrastabile della popolazione e una difficoltà sempre maggiore dei francesi a decidere di fare figli. Oggi, invece, la Francia ha un perfetto tasso di sostituzione della popolazione, ovvero un numero di nascite adeguato a permettere un ricambio generazionale che non porti ad un aumento dell’età media, che appunto è di 2. Com’è accaduto? Come ha recentemente spiegato il demografo Laurent Toulemon al Guardian, il successo della Francia è dovuto ad una serie di politiche di sostegno non solo alle famiglie, ma in generale a chi mette al mondo dei bambini, sia esso sposato, convivente o altro.
Più sussidi. L’esigenza, d’altra parte, era molto più pressante che da altre parti: in Francia infatti, come peraltro nei Paesi scandinavi dove è possibile reperire politiche analoghe, il numero di coniugi divorziati o separati, genitori single, nascite fuori dal matrimonio e via dicendo sono molto più frequenti che nei Paesi del Sud dell’Europa (come, ad esempio, Italia o Spagna), ed era quindi necessario estendere sussidi e aiuti ovunque si verifichi una nascita, e non solo se all’interno di un nucleo famigliare strutturato e definito. Una questione, spiega Toulemon, che è fondamentalmente culturale: «In Giappone, per esempio, una donna che inizia una relazione deve anche accettare il matrimonio, obbedire al marito, avere figli, smettere di lavorare dopo che sono nati e occuparsi dei parenti più anziani. O tutto o niente. In Francia il pacchetto è più flessibile: uno non deve per forza sposarsi o avere figli. Le regole sono più aperte e le famiglie più variegate». In Francia, difatti, il numero di bambini nati fuori dal matrimonio è del 50 percento del totale, mentre in Italia, per dire, è del 25 percento.
Le politiche attuate. Prima che nel 2013 Hollande riducesse leggermente la quota, la Francia investiva ben il 4 percento (oggi il 3,5) del proprio Pil in aiuto a famiglie e bambini, sussidi che aumentavano progressivamente nel caso in cui lo stesso nucleo famigliare o in generale gli stessi genitori avessero anche altri figli, senza un limite. Fin dall’età di due mesi, i bambini francesi possono essere affidati agli asili, e ben nel 40 percento dei casi tale opportunità viene sfruttata, mentre il 92 percento dei bimbi fra i 3 e i 6 anni frequenta la scuola materna. La diffusione e la qualità dei servizi educativi per l’infanzia è tenuta in grossa considerazione, così da ottenere la fiducia nelle madri che, potendo affidare il proprio figlio in mani sicure fin dai primi mesi di vita, potrà andare avanti a lavorare. Non è un caso che il tasso di occupazione delle donne francesi fra i 15 e i 64 anni sia superiore al 60 percento (in Italia è fermo al 46 percento). A partire dal 2014 sono stati aggiunti sei mesi di congedo parentale a ogni coppia con un figlio, dando la possibilità anche all’altro genitore (solitamente il padre) di occuparsi del figlio e permettendo quindi alla madre di lavorare. Il punto nodale, sottolinea ancora Toulemon, sta soprattutto nella libertà che le donne hanno di scegliere fra interruzione del lavoro per occuparsi del neonato o proseguire senza però incorrere in gravi conseguenze economiche: «La libertà di scelta per le donne è essenziale per il sistema».