Un articolo de Il Sole 24 Ore

Perché in Borsa le cattive notizie sono (molto spesso) buone notizie

Perché in Borsa le cattive notizie sono (molto spesso) buone notizie
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Il 2 ottobre i mercati aspettavano con nervosismo e tensione i dati sull’occupazione statunitense. Le previsioni non erano affatto positive. Il momento non è dei migliori per le Borse: c’è la crisi nera della finanza cinese, il crollo del mercato delle materie prime, il dollaro eccessivamente forte che si ripercuote sugli utili aziendali e sull’export europeo, l’economia giapponese che ristagna e quella del Vecchio Continente che proprio non sembra voler ripartire. A tutto questo, negli Usa, si aggiunge pure l’infinito dilemma sul rialzo dei tassi Fed, ovvero la possibilità (fino ad ora solamente presa in considerazione) di ritoccare nei fatti il prezzo del denaro. Insomma, era una giornata molto importante per i mercati. Poi, finalmente, i dati sull’occupazione americana sono stati diffusi: appena 142mila nuovi posti contro i 201mila stimati, un risultato ben al di sotto delle attese. Wall Street cala, ma dopo una breve fase di assestamento, va a chiudere la seduta toccando i massimi di giornata, trascinandosi dietro anche le Borse europee fino a toccare rialzi anche del 5 percento. Insomma, un successo. Ma com’è possibile?

 

Financial Markets Wall Street

 

Perché i mercati funzionano al contrario. È Il Sole 24 Ore a spiegare, in un interessante articolo a firma di Enrico Marro, come il funzionamento dei mercati finanziari sia complesso e, per certi versi, folle. Come può essere che davanti a dati orribili, che vanno a innestarsi in una situazione complessiva già di per sé poco rosea, invece che crollare la Borsa reagisca con euforia? Marro spiega, senza mezzi termini, che i mercati spesso funzionano al contrario. Gli esperti infatti illustrano come le cattive notizie, per la Borsa, siano in realtà notizie splendide: i brutti dati sull’occupazione americana hanno allontanato i ritocchi della Fed sui tassi (perché significa che l’economia è ancora debole e necessita di un costo del denaro basso); ciò, a sua volta, ha allontanato la conseguente crisi e fuga di capitali dai Paesi emergenti, cosa che ha colpito conseguentemente l’ansia della recessione globale. Insomma, la brutta notizia ha dato il via a un dominio che ha, come effetto ultimo, quello di tranquillizzare gli investitori. Tanto peggio, tanto meglio. Questo perché le banche centrali hanno abituato le Borse, negli ultimi anni, a liquidità a fiumi e tassi a zero, il tutto nella speranza di allontanare sempre più il terribile spettro della crisi. Un meccanismo perverso, frutto del panico post crollo della Lehman (datato 2008).

Marro, però, precisa che in realtà tutto questo accadeva già prima dello scoppio della crisi globale. Lo dimostra uno studio, realizzato nel 2001, del National Bureau of Economic Research statunitense, firmato da due docenti universitari, John Boyd e Ravi Jagannathan, e dal managing director di Moody’s Investor Services, Jian Hu. I tre hanno studiato la reazione dei mercati, dal 1961 al 2000, in seguito alla pubblicazione dei dati sull’occupazione Usa, scoprendo che la reazione delle Borse è di un certo tipo quando si vive una fase di espansione economica, mentre è completamente opposta quando c’è una fase di recessione. Nei momenti economici come quello che stiamo vivendo oggi (dal 2009), le notizie negative producono segni più, mentre quelle positive deprimono i mercati; accade l’opposto nelle fasi di recessione.

 

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Ci si può guadagnare. Tutto questo, quindi, cosa significa? Innanzitutto, come ha scritto Mark Hulbert, editorialista di MarketWatch, vuol dire che la vera recessione è ancora lontana finché i mercati ragionano con il teorema del “le brutte notizie sono buone notizie”. Ma significa anche che, stando all’analisi di Boyd, Jagannathan e Hu, quando si è in una fase di espansione dei mercati allora è possibile guadagnare in Borsa ogni qualvolta viene diffusa una (apparentemente) cattiva notizia. Certo, questo se i mercati funzionassero sempre allo stesso modo, cosa non proprio vera… Intanto, però, possiamo accontentarci della solidità delle statistiche.

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