C'entrano la privacy e il terrorismo

Perché l'Inghilterra vuole vietare Whatsapp e tutte le altre chat

Perché l'Inghilterra vuole vietare Whatsapp e tutte le altre chat
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È lo stesso Primo Ministro inglese David Cameron a dare la notizia: se al Governo non verrà concessa la possibilità di leggere qualsiasi tipo di missiva digitale, entro il 2016 potrebbe essere varata una legge che bandisce dal Regno Unito alcuni dei più celebri ed utilizzati servizi di messaggistica telefonica (come WhatsApp, Snapchat e iMessage). A maggio 2015 si terranno le elezioni politiche britanniche, e Cameron, intervistato rispetto a futuribili programmi legislativi in caso di rielezioni, non ha nascosto l’intento di vietare mezzi di comunicazione che non possano essere direttamente controllati dalle forze dell’ordine; lo scopo, naturalmente, non è una morbosa curiosità rispetto agli affari privati dei sudditi di Sua Maestà, bensì quello di poter monitorare costantemente gli scambi di informazioni sugli apparecchi digitali di quei soggetti sospettati di attività terroristiche.

 

 

L’origine del problema nasce nel fatto che molte delle più utilizzate app di messaggistica istantanea utilizzano sistemi che non permettono l’ingresso da parte di soggetti terzi rispetto alle due parti in comunicazione: per quanto riguarda ad esempio iMessage, nemmeno la stessa Apple, fornitrice del programma, ha la possibilità di dare una sbirciatina, mentre da qualche mese WhatsApp ha introdotto un algoritmo che codifica i testi quando vengono composti sul dispositivo del mittente e li rende di nuovo comprensibili solo quando arrivano al destinatario.

Il problema, rispetto alle indagini in merito alle attività terroristiche, è evidente, è i recenti fatti di Parigi, con la strage presso la redazione di Charlie Hebdo, hanno spronato ulteriormente il Governo inglese ad orientarsi secondo una precisa direzione, ovvero l’abolizione di questi mezzi di comunicazione, a meno di poter ottenere una sorta di passepartout alle conversazioni dei privati. La richiesta di Cameron riguarda la creazione di una “backdoor” attraverso la quale le forze dell’ordine abbiano la possibilità di monitorare costantemente i cellulari di soggetti sospettati di terrorismo, attraverso un archivio creato dalle compagnie telefoniche e dai gestori dei servizi internet.

 

 

«Possiamo permettere che esista un mezzo di comunicazione impossibile da leggere anche se c’è un mandato del giudice? No, la mia risposta è che non possiamo», ha dichiarato il Primo Ministro. C’è però da superare la ritrosia dei grandi colossi della comunicazione, apparentemente tanto affezionati alla privacy dei propri clienti, ma in realtà fondamentalmente riottosi a lasciare breccia ad emissari governativi nei propri affari. Le richieste del Governo verterebbero, oltre che sugli aspetti di comunicazione, anche sull’oscuramento di contenuti web che possano incitare ad atti di violenza, e che in generale rappresentino apologie di organizzazioni di questo genere. Una profonda sinergia fra amministrazione e piattaforme digitali, insomma, ritenuta fondamentale e imprescindibile nella lotta al terrorismo. I numeri delle app più utilizzate, d’altra parte, certificano l’importanza di una collaborazione del genere, in termini di controllo: WhatsApp ha 700 milioni di utenti, iMessage 300 milioni, Viber oltre 100 milioni, Facebook Messenger 500 milioni.

Il discorso di Cameron non è il primo segnale, a livello internazionale, della volontà di una nuova stretta sul web, e arriva il giorno dopo il summit di Parigi dei ministri dell’Interno Ue e il ministro della Giustizia Usa, Eric Holder, svoltosi parallelamente alla manifestazione che ha portato milioni di persone nelle strade della capitale francese. In questo contesto, è stata ribadita, con comune consenso, la necessità di giungere a soluzioni legislative il prima possibile, e il Regno Unito sembra voler giocare d’anticipo rispetto a tutti.

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