Numeri e percentuali alla mano

Perché nessun partito può esultare dopo i risultati delle regionali

Perché nessun partito può esultare dopo i risultati delle regionali
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«L’Italia dei due Matteo»: è questo lo slogan mediatico più in voga, dalle nostre parti, da domenica 23 novembre ad oggi; i due, naturalmente, sono Matteo Renzi e Matteo Salvini, leader carismatici rispettivamente di Partito democratico e Lega Nord. Da dove arriva tutta questa enfasi? Per quanto riguarda Renzi, la questione affonda le sue radici nel febbraio di quest’anno, momento della sua ascesa a Palazzo Chigi in veste di Presidente del Consiglio, rottamatore, innovatore, riformatore e quant’altro; per quanto riguarda invece Salvini, che a dire il vero già da alcuni mesi si stava affermando come uno dei politici più attivi e agguerriti dell’intero panorama nazionale, la consacrazione è arrivata con le elezioni regionali dello scorso week end in Emilia Romagna e Calabria: a far testo, in particolare, è il risultato della prima, in cui i leghisti hanno ottenuto un sorprendente 19,5 percento, più che doppiando i colleghi di Forza Italia e assestandosi come secondo partito della regione emiliana e, perché no, magari anche dell’intero Paese.

Postilla: entrambe le regioni sono state conquistate (o riconquistate, come nel caso dell’Emilia Romagna) da Renzi e dal suo Pd, suggellando ulteriormente il ruolo di dominatore assoluto della politica italiana del Matteo fiorentino. L’uno, insomma, sembra capace di collezionare solo trionfi (da un punto di vista elettorale), l’altro è in irreversibile ascesa. Cosa potrà mai fermare questo scoppiettante duopolio? Forse, proprio i voti che si sono aggiudicati nell’ultima tornata regionale.

Perché sì, Renzi ha aggiunto altri due carri armati nel suo personalissimo Risiko nazionale, e Salvini si sta proponendo, con sempre maggior intensità, come unico rivale credibile; ma i numeri di Emilia Romagna e Calabria suggeriscono attenta cautela.

Pd, una vittoria a metà. Cominciando dall’Emilia Romagna, il Partito democratico ha (come da pronostici) vinto a mani più che basse, in ossequio all’antica e inscalfibile tradizione rossa della Regione del Centro-Nord. I dati percentuali parlano chiaro: Bonaccini vince con il 44,5 percento dei consensi, aumentando persino il 40,7 ottenuto nel 2010 dal candidato (ed eletto) del centrosinistra Vasco Errani. Ma abbandonando per un momento le statistiche proporzionali e dando una sbirciata ai numeri effettivi, balza all’occhio come, rispetto a quattro anni fa, il Pd abbia perso un’infinità di voti: 535.109 i voti ottenuti da Bonaccini, 1.197.789 quelli di Errani; ne sono stati persi per strada, quindi, quasi la metà. Ma se è vero che quattro anni, politicamente, sono un’era geologica, guardando a risultati più recenti, quelli delle Europee di maggio, il calo del Pd è ulteriormente vertiginoso: il richiamo di Bruxelles, sicuramente più affascinante per vari motivi rispetto a quello di Bologna, portò alle urne 1.212.392 elettori del Pd, 700 mila in più di quelli tornati al seggio con intenzioni democratiche sei mesi dopo. Particolare curioso: quattro anni fa la candidata del centrodestra Annamaria Bernini aveva conquistato 844.915 voti, oltre 300 mila in più rispetto al neo governatore.

Per quanto riguarda invece la Calabria, il computo totale dei voti ottenuti dal vincitore Mario Oliverio è di 486.589 preferenze, ovvero il 61,36 percento. Ma, di questo numero, bisogna considerare che solo 184.688 voti sono stati una croce diretta sul simbolo del Pd. Alle ultime Europee, il Pd aveva conquistato quasi 268 mila voti in Calabria: 85 mila elettori persi in sei mesi. Alle Politiche del 2013, quando il segretario era Pierluigi Bersani, i sostenitori democratici in Calabria erano stati 209 mila, 25 mila in più di oggi. Ma il paragone più corretto riguarda le ultime Regionali, nel 2010, e stavolta Renzi può timidamente sorridere: all’epoca, il Pd si era fermato a 162 mila voti, con il 15,7 per cento. Rispetto a quel dato, il suo partito aumenta i consensi, seppure di poco. Tirando le fila del discorso, il Pd ha aumentato i dati percentuali esclusivamente grazie all’apocalittico astensionismo (37,8 percento di affluenza in Emilia Romagna contro l’82,1 percento delle Politiche 2013 o il 68 percento delle scorse regionali), ma ha, in realtà, perso tantissimi elettori.

Lega in grande crescita, anzi no. Venendo alla Lega Nord, il 19,5 percento ottenuto dal Carroccio in Emilia Romagna ha galvanizzato, a dir poco, Salvini, che ora chiede primarie all’interno del centrodestra sentendosi legittimato a reclamare lo scettro che per 20 anni è stato saldamente nelle mani di Silvio Berlusconi. Sono 233.439 i voti conquistati dai pretoriani padani in terra emiliana, che però sbiadiscono assai in confronto  ai 288.601 delle Regionali di quattro anni fa.

Bisogna però riconoscere a Salvini il merito di aver riportato in auge un partito che fino a un anno fa sembrava destinato alla memoria storica: un anno fa, alle Politiche, la Lega in Emilia Romagna prese 69.108 voti, mentre alle Europee di maggio erano quasi raddoppiati, 116.394, fino all’ulteriore e consistente incremento di questa tornata elettorale regionale. Si tratta comunque di numeri inferiori ad un periodo, il 2010, in cui la Lega non poteva assolutamente pensare di svolgere un ruolo di assoluto protagonismo nello scenario politico italiano, figurarsi quindi oggi in cui i sostenitori sono ancora meno. Per quanto giustificato, l’entusiasmo di Salvini dovrebbe mantenersi comunque cauto. Esattamente come nel caso del Pd, l’elevata percentuale di consensi è data da una bolla elettorale dovuta all’astensionismo.

Chi soffre senza appello: Forza Italia e M5S. Nemmeno le percentuali salvano invece il partito di Berlusconi, che in Emilia Romagna ha preso 418 mila voti in meno rispetto al 2010, dati inframmezzati in questi anni da un declino di consensi corposo e costante (basta guardare i dati di Politiche 2013 ed Europee 2014). E in Calabria, tanto quanto: alle Regionali del 2010 il Popolo della Libertà aveva trionfato conquistando il voto di un elettore calabrese su quattro, 271.581 preferenze. Ridotte a 222.671 alle Politiche del 2013 e a 146.677 alle Europee di maggio. Oggi, il punto più basso: Forza Italia si ferma a 95.629 voti, il 12,3 percento.

Per quanto riguarda il movimento grillino, è vero che, rispetto alle Regionali 2010 in Emilia Romagna, i voti sono aumentati di circa 33 mila unità, ma bisogna considerare che quattro anni fa i pentastellati erano solo un colorito gruppo di anime in protesta, e non ancora un apparato strutturato e politicamente svezzato come oggi; e, soprattutto, dal momento che alle Politiche del 2013 i voti ottenuti in Emilia Romagna furono 658.475 e alle Europee 2014 443.936, si coglie allora come quello del Movimento 5 Stelle sia un vero e proprio tracollo. E in Calabria? Alle ultime Regionali, Beppe Grillo e discepoli non si erano neppure presentati. Eppure, un anno e mezzo fa, il M5S era il primo partito in Regione: dei 232.811 voti delle Politiche, oggi ne sono rimasti meno di 40 mila.

Dati impietosi quindi, che non giustificano eccessivi festeggiamenti per chi comunque se l’è cavata, e aggravano ancor di più la situazione di chi ha subito una cocente sconfitta. Ma, in fondo, una speranza per tutti ancora c’è: l’astensionismo, da chimera da evitare, potrebbe svelarsi in realtà un punto di partenza notevole, con milioni di elettori disillusi e indifferenti che nei prossimi mesi potrebbero essere attratti, politicamente e soprattutto elettoralmente, da chiunque, garantendo solide conferme o miracolose risalite. Che la partita abbia inizio.

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