67 miliardi negli ultimi due mesi

Perché la mancanza di fiducia ha risvegliato la fuga di capitali

Perché la mancanza di fiducia ha risvegliato la fuga di capitali
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Nonostante il Governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco cerchi in ogni modo di smentire, i numeri parlano chiaro: negli ultimi tre mesi è in corso una preoccupante fuoriuscita di capitali dall’Italia verso l’estero, 30 miliardi di euro nel mese di agosto, a cui se ne sono aggiunti ulteriori 37 nel mese di settembre. Una tale fuga di denaro non si verificava dal periodo più nero della crisi economica, fra la primavera del 2011 e quella del 2012.

Perché succede, di solito. I dati sono noti grazie al sistema Target2, uno strumento dell’Unione Europea che permette di elaborare in tempo reale i bonifici transfrontalieri in tutta l’eurozona. All’origine di una situazione del genere, possono esserci due variabili: il saldo commerciale e il saldo finanziario. Nel primo caso, ovvero relativo all’attività di import-export di un Paese, l’emorragia di denaro sarebbe dovuta ad un notevole incremento delle importazioni italiane ed un calo netto delle esportazioni, ma non è quanto si sta verificando; nel secondo caso invece, si tratterebbe di un flusso verso l’estero di capitali finanziari, ovvero appartenenti a risparmiatori, fondi d’investimento e banche.

Quest’ultima ipotesi è da ritenersi decisamente più verosimile: è accaduto qualcosa negli ultimi mesi che ha spinto i vari attori del mercato finanziario a portar via le proprie liquidità dall’Italia per farle migrare verso lidi più sicuri. Il dato più allarmante riguarda il fatto che, mentre nel sopracitato periodo a cavallo di 2011 e 2012 il fenomeno del deflusso di capitale era comune a tutte le economie europee in difficoltà (Italia, Spagna, Portogallo, Grecia e via dicendo), questa volta è un fenomeno che si sta verificando solo dalle nostre parti; e le cause sono molteplici.

Perché succede ora, in Italia. Innanzitutto, il Ftse-Mib, il principale listino della borsa di Milano e quindi importante indice dell’andamento finanziario del nostro Paese, ha fatto registrare dall’inizio di settembre un complessivo calo del 9,5 percento, pari a circa 40 miliardi di euro: questo significa che molti titoli azionari italiani sono stati ceduti, per mancanza di fiducia, in direzione di altri mercati più favorevoli, ovvero, secondo i dati, verso la solida Germania oppure direttamente fuori dall’eurozona; in quest’ultimo caso, a giovarne sono stati i Paesi del Nord Europa come Danimarca, Svezia e Norvegia, che hanno visto le loro corone nettamente rinforzate da qualche settimana a questa parte.

In secondo luogo, occorre tornare a tre anni fa, quando le banche italiane ottennero un prestito liquido di 200 miliardi dalla Banca Centrale Europea per tentare di sanare i propri bilanci, fornendo come garanzia titoli del Tesoro (BTP) di cui erano posseditrici. Ora, il termine di questa operazione sta per sopraggiungere, e in mancanza ovvia di rinnovo da parte della BCE su questi titoli, le banche italiane dovranno coprirne il prezzo, il che toglie per forza di cose fiducia a chi possiede liquidità in questi istituti di credito. A questo punto, risulta giustificato da parte di un risparmiatore dirottare il proprio denaro verso banche estere.

Inoltre, l’Italia resta uno degli unici Paesi dell’Eurozona ancora in recessione, con il debito pubblico che si attesta intorno al 140 percento del Pil, la disoccupazione ai massimi storici, il deficit a ridosso del limite massimo del 3 percento concesso dall’Unione Europea, e la perdurante deflazione che blocca i consumi: naturale che non sia un luogo che possa promettere un radioso futuro ai capitali presenti.

Infine, c’è anche una ragione politica: Mario Draghi nel 2012 promise interventi illimitati della BCE solo in difesa di quei Paesi che avessero accettato il governo economico da parte della troika (UE-BCE-FMI), cioè un programma di politiche controllate e monitorate dal resto d'Europa. L'Italia è il solo Paese fra quelli più in difficoltà a non aver sottoscritto questo programma, cosa che, nonostante le ragioni italiane, non fornisce particolare fiducia nei confronti degli operatori finanziari.

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