Più contro i curdi che contro l'Isis Le guerre parallele di Erdogan

Da quattro giorni la Turchia sta bombardando. Ufficialmente è una guerra contro l’Isis in seguito alla strage di Suruc, ma di fatto l’offensiva aerea avviata da Ankara contro postazioni dell’autoproclamato Stato islamico si sta rivelando una vera e propria guerra contro il Pkk, il Partito dei lavoratori curdi, classificato da Ankara come organizzazione terroristica e separatista. Il Pkk è l’unica formazione che combatte attivamente e in prima persona i miliziani del Califfo in terra siriana riuscendo a ottenere successi. La tregua che vige dal 2013 tra Turchia e curdi è quindi solo un ricordo e i negoziati di pace, fortemente voluti dal leader prigioniero del Pkk Ocalan, ma mai portati seriamente avanti dalle autorità turche, possono dirsi ormai definitivamente tramontati.
Anniversario del Trattato di Losanna. Forse si tratta solo di una coincidenza, ma il 24 luglio, giorno in cui sono cominciati i bombardamenti, ricorre l’anniversario del Trattato di Losanna, firmato nel 1923 da Gran Bretagna, Francia, Italia, Giappone, Grecia, Romania, che cancellò il precedente trattato di Sèvres, il quale prevedeva che nell'Anatolia orientale sarebbero stati creati un Kurdistan autonomo, oltre che uno Stato indipendente di Armenia, e divise il Kurdistan in quattro parti, tra Turchia, Siria, Iran e Iraq, causando la formazione di altrettante minoranze. A Losanna le potenze occidentali negoziarono una nuova pace con la nascente Turchia kemalista, lasciando nel dimenticatoio i progetti di uno Stato curdo. Le radici dello scontro interno tra curdi e turchi risalgono sostanzialmente li, alla fine della Prima Guerra mondiale, nel massimo momento di affermazione del principio dell’autodeterminazione dei popoli. Ancora oggi Sèvres e Losanna sono per i curdi i luoghi simbolici delle rivendicazioni del Kurdistan e del sogno indipendentista precocemente infranto.
Raid contro i curdi, più che contro l’Isis. Caccia F-16 turchi hanno bombardato postazioni in Siria ma si sono spinti fino in Iraq. Ufficialmente, Ankara sostiene di voler creare una zona di sicurezza su una vasta area del nord della Siria, vicino al confine turco. Ma solo nelle prime 48 ore dei raid sono state effettuate 22 incursioni aeree in Iraq, contro la roccaforte del PKK di Qadili, e solo 9 contro l’Isis in Siria, mentre l’artiglieria turca dal confine ha colpito le postazioni di entrambi i movimenti. I danni causati dalle bombe sono particolarmente evidenti nei dintorni della città curdo-irachena di Amadyia sulla catena di montagne Kandil. Inoltre, secondo quanto riferito dall'Osservatorio siriano per i diritti umani, nella notte tra domenica e lunedì i carri armati turchi hanno bombardato il villaggio di Zor Maghar, nella provincia di Aleppo. Si tratta di un villaggio oggi controllato dalle forze curde, ma che un anno fa era stato conquistato dai jihadisti dello Stato islamico, dopo tre giorni di combattimenti con le milizie curde. Nei bombardamenti di domenica notte sono stati feriti 4 membri delle forze ribelli che combattono al fianco delle milizie curde delle Unità di protezione popolare (Ypg), le più attive nel contrasto dello Stato islamico, che per la loro alleanza con il Pkk sono considerate da Ankara come un'organizzazione terroristica, al pari dei jihadisti dell'Isis.
I raid non si fermeranno, parola di Erdogan. Secondo quanto riporta il quotidiano turco Hurriet Daily News, il primo ministro Ahmet Davutoglu ha detto che i bombardamenti potrebbero «cambiare le regole del gioco in questa regione», mentre il Presidente Recep Tayyip Erdogan ha fatto sapere che la battaglia continuerà, le operazioni anti-terrorismo e i raid non si fermeranno. I turchi accusano l’ala militare del Pkk di continuare a usare la violenza per ottenere una migliore posizione nelle negoziazioni, mentre i curdi accusano Ankara di non essersi impegnata a sufficienza nell’aiutarli nella guerra in Siria e di appoggiare i jihadisti che li combattono. Il Pkk, in risposta ai raid turchi ha ucciso due soldati e fatto esplodere un’autobomba che aveva come obiettivo un convoglio militare nella provincia a maggioranza curda di Diyarbakir, nel Sud-Est del paese.
Il caos turco. Sta di fatto che in Turchia la tensione non fa che crescere e alimenta una spirale di violenza che potrebbe prendere una deriva ancora più tragica. Nel Paese è stato di emergenza. Le operazioni turche hanno infatti avuto ampie ripercussioni interne, che forse sono solo il risultato dello scossone dato alla politica turca dall’esito elettorale del 7 giugno scorso, che ha segnato la vittoria del partito della sinistra kurda turca Hdp con il 13% dei consensi. Ancora oggi, a oltre un mese di distanza dal voto, il Paese non ha un governo, e il primo ministro Ahmet Davutoglu ha da poco avviato i primi colloqui con i diversi leader dell’opposizione alla ricerca di un’alleanza necessaria per governare. Compito non facile, che lascia pensare alla possibilità di nuove elezioni. Vista da questa angolazione, la guerra di Erdogan potrebbe quindi rivelarsi non tanto mirata a distruggere lo Stato Islamico, ma a consolidare il suo traballante potere interno con un prolungato stato di emergenza nazionale, volto a giustificare il pugno di ferro di polizia e militari, ormai sotto il ferreo controllo dell’Akp, il partito di maggioranza. Martedì a Bruxelles è previsto un vertice della Nato con all’ordine del giorno la sicurezza in Turchia.
La conquista di Sarrin da parte dei curdi. Nonostante i bombardamenti, tuttavia, dopo tre settimane di scontri violentissimi nel nord della Siria i peshmerga delle Ypg, le Unità di Protezione Popolare, hanno strappato la località di Sarrin, a pochi chilometri dal confine con la Turchia, ai miliziani dello Stato Islamico, tagliando loro di fatto uno dei più importanti canali di rifornimento per Raqqa, la capitale dell’auto-proclamato califfato. La città in riva all'Eufrate sorge lungo l’autostrada che collega la stessa Raqqa ad Aleppo, e attraverso la quale viaggiano uomini, armi e scorte destinati ai jihadisti. Al successo dell'offensiva curda hanno largamente contribuito i bombardamenti aerei da parte della coalizione internazionale guidata dagli Usa.