Parlano i parroci

Pochi posti, banchi vuoti e paura del contagio: per tanti bergamaschi la Messa è finita

«Sono sempre di meno le famiglie con bambini, e i ragazzi. Ma il Covid ha messo in luce quello che si avvertiva già prima»

Pochi posti, banchi vuoti e paura del contagio: per tanti bergamaschi la Messa è finita
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di Bruno Silini

«Anche da noi il calo dei fedeli in chiesa è evidente. La fascia d'età che abbiamo “perso" è quella di chi superava i 70 anni, che rappresentava comunque lo zoccolo duro delle nostre realtà». È la triste panoramica che ci dà don Diego Ongaro, parroco a San Giovanni Bianco e a Fuipiano al Brembo, sull'affluenza dei fedeli alle messe. In primavera le chiese erano vuote per il lockdown. Adesso che l’emergenza è finita non si sono certo riempite. Come interpretare questi vuoti?

«Prima di tutto - continua don Diego - l'utilizzo di molti media (televisione in primis) per trasmettere le celebrazioni ha abituato alcune persone a seguire tutto tranquillamente sul divano: anche due messe al giorno, ma da casa. Secondariamente gli abitudinari hanno vissuto una scrematura naturale. Chi era poco convinto prima ora preferisce rimanere a casa. Il dato che deve preoccupare (e preoccupava anche prima) è la scomparsa di quelle poche famiglie con bambini e degli adolescenti».

Se dalla Valle Brembana scendiamo il città don Matteo Marcassoli (Loreto) l’impressione è la stessa: «Non riesco molto a quantificare il calo, comunque un calo c’è. Vedo che soprattutto le famiglie giovani fanno fatica a tornare, però non è che neanche prima fossero numerose». Medesima litania anche a Seriate. «Da noi circa 30 per cento in meno di persone - racconta il parroco don Mario Carminati - Penso sia dovuto alla paura. Paura da parte degli anziani, ma spesso anche dei loro parenti che li vogliono giustamente tutelare e tenere riparati. Credo però che su questo andrebbe fatta qualche ulteriore riflessione: è la sola scelta quella di rendere asettica la vita degli anziani o si potrebbe e dovrebbe pensare a come trovare forme che consentano loro di vivere ancora e di relazionarsi? Certo con tutte le dovute e giuste precauzioni dovute alla presente situazione critica. La messa rientra in uno di questi ambiti su cui riflettere».

Dunque l’allarme lanciato dal vescovo di Reggio Emilia e Guastalla, Massimo Camisasca, durante l’omelia per la Festa della Natività di Maria, interessa anche la diocesi di Bergamo: «Non possiamo essere tranquilli - ha detto il prelato - un buon numero di persone non sono tornate alla Messa domenicale dopo la riapertura delle celebrazioni in presenza». Una preoccupazione contenuta anche nella lettera di fine luglio che la presidenza della Cei ha indirizzato a tutti i vescovi dove si sottolineava come il ritorno alle messe coram populo fosse «segnato anche da un certo smarrimento (in particolare, una diffusa assenza dei bambini e dei ragazzi), che richiede di essere ascoltato». E poco dopo è arrivato l’intervento del cardinal Sarah, prefetto della Congregazione per il culto divino e la disciplina dei sacramenti che ha esortato alla necessità di tornare all’Eucarestia in presenza riservando la Messa in tv «ai malati e alle persone impossibilitate a partecipare».

Fortunatamente a Brembilla il problema non si sente. «Io devo dire con sincerità - spiega il parroco don Cesare Micheletti - che la presenza è da più di un mese ritornata "normale", a livelli pre Covid: mancano solo i ragazzi... vediamo quando ripartirà la catechesi». Quasi normalità anche alle Marne di Filago. «... se si eccettuano i ragazzi - chiarisce il parroco don Adriano Bravi - che riprenderanno con la catechesi e i giovani che già prima partecipavano poco. La mia è una parrocchia che non ha avuto morti di Covid, malati gravi sì, ma guariti. Gli abitanti sono circa cinquecento (200 milanesi pendolari) e la frequenza è di cento persone. La partecipazione del 30 per cento era normale nella fase precedente il Covid, parlo nel periodo extra catechesi. Oggi sarà inferiore, ma motivato da tutte le paure indotte dalle restrizioni. Ci sono persone che non escono più dalla casa per paura. Seguono tutte le sante messe in televisione. Il problema più grave non è il Covid, ma la mancanza di fede, speranza e carità. Quando parlo di carità non intendo portare il pacco dono ai barboni, cosa buona, ma mettere al mondo un figlio. È il primo e principale atto di carità che richiede fede e sostiene la speranza».

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