Ponte San Pietro: la casa di riposo chiusa dal 24 febbraio, ma l'han fatta rimanere aperta
Stando alla ricostruzione, i vertici di Ats avrebbero detto di tenere aperto. Ma l'Agenzia specifica di aver sempre seguito le norme degli organismi superiori: «In data 24 febbraio non vi erano indicazioni da Regione Lombardia sulla chiusura delle strutture residenziali». Morti in 27 su 103 e ora si rischiano perdite ingentissime
di Laura Ceresoli
In poco meno di tre mesi, su un totale di 103 posti letto, sono deceduti 27 ospiti nella Rsa di Ponte San Pietro mentre hanno presentato sintomatologia simil Covid in 35 pazienti che, attraverso le cure, sono guariti. Questi sono alcuni dei dati emersi dalla relazione illustrata giovedì 16 luglio dai vertici della Fondazione casa di riposo durante la seduta consiliare straordinaria richiesta dalle liste di minoranza per un confronto sulla gestione della pandemia. Durante tutto il periodo emergenziale, la struttura conferma di aver seguito alla lettera tutti i protocolli della Regione Lombardia, nonché le disposizioni di Ats Bergamo che a febbraio avrebbe, però, imposto di tenere aperto il centro diurno. Una scelta, quest’ultima, che ha sollevato non poche perplessità tra i consiglieri.
Stando alla ricostruzione dei fatti, riportata nella relazione della Fondazione e comprovata da documenti scritti, già il 24 febbraio il presidente della casa di riposo Pietro Algeri, in accordo con la direzione sanitaria, aveva disposto a scopo preventivo il divieto di accesso alla Rsa di Ponte di tutti i familiari, fatto salvo che per situazioni particolari da valutare. Erano stati inoltre sospesi l'accesso dei volontari e tutte le attività animative fisioterapiche di gruppo. Valutata la possibilità e la probabilità dell'alto rischio di contagio dell'unità di offerta del centro diurno, si era deciso di chiudere il servizio a partire dal 25 febbraio. Tuttavia nel pomeriggio, a seguito dell'incontro con la direzione socio-sanitaria dell'Ats di Bergamo, il presidente della Crb Cesare Maffeis aveva comunicato con nota scritta il divieto di chiusura del centro diurno.
Passata una decina di giorni, l'incubo coronavirus ha però iniziato a insinuarsi anche alla casa di riposo di Ponte. Il primo paziente acuto con sintomatologia Covid risale al 7 marzo, il decesso avviene qualche giorno più tardi al policlinico San Pietro dove il tampone conferma il caso.
«Il 30 dicembre la Cina avverte il mondo della presenza del virus, il 20 febbraio si segnala il primo caso a Codogno , il 23 ad Alzano - precisa Algeri -. Eppure secondo studi di medici e scienziati, si è scoperto che il virus circolava già da gennaio. Noi abbiamo chiuso la Rsa quando ormai il virus era già in circolazione perché ovviamente nessuno sapeva della sua presenza. In ogni caso noi non possiamo agire di nostra spontanea volontà, dobbiamo eseguire quanto i nostri dirigenti ci dicono». Il presidente ha inoltre voluto ringraziare tutto il personale, gli operatori sociosanitari e amministrativi della casa di riposo che in questi mesi ha lavorato con «un'etica professionale incrollabile, con sensibilità, passione e dedizione».
Secondo le opposizioni, qualche vita avrebbe potuto essere salvata se solo le porte della Rsa fossero rimaste chiuse fin da febbraio, come inizialmente stabilito: «Purtroppo di fronte al divieto imposto da Ats di procedere con l’adozione di questi interventi di urgenza, il Consiglio di amministrazione della casa di riposo, per paura delle paventate ritorsioni quali la perdita dell’accreditamento, hanno revocato i provvedimenti che limitavano l’accesso e che già erano stati adottati, per poi ritornare, a distanza di due settimane, sui propri passi - scrivono in un comunicato congiunto Michele Facheris e Jacopo Masper (Tu per Ponte), Rosalba Cattaneo e Mirvjen Bedini (Ponte al Futuro) e Valerio Baraldi (Gruppo Baraldi) -. Questa permeabilità dell’organo amministrativo ai voleri di Ats è inaccettabile in quanto ha minato l’autonomia della Fondazione che ha, tra i propri criteri ispiratori, la salvaguardia della salute dei propri ospiti e la gestione dei rischi».
Sempre dalla relazione della casa di riposo, emerge che diversi giorni dopo che la struttura denunciava ad Ats «criticità nella gestione dell'emergenza» e la «mancanza di Dpi per la tutela del personale», sono stati inseriti in Rsa otto pazienti positivi: «È censurabile la decisione di accogliere nella struttura otto stabilizzati Covid in data 2 aprile, cioè due giorni dopo l’inaugurazione dell’ospedale Fiera Milano (di fatto inutilizzato) e un giorno dopo l’apertura dell’ospedale degli alpini di Bergamo - lamentano i consiglieri -. La struttura e le maestranze, già fortemente provate dalla gestione quotidiana della pandemia, si sono ritrovate a sostenere ulteriori carichi di lavoro da svolgersi in condizioni di pressione psicologica. Peraltro una procedura, quella dell’accoglienza degli stabilizzati Covid nelle Rsa, oggi vietata dall'attuale normativa».
Resta poi sul tavolo un’ultima questione: per effetto della pandemia il numero degli ospiti si è fortemente ridimensionato. «Il perdurare di questa situazione potrebbe portare a un detrimento delle condizioni economico-finanziarie della Fondazione che rischia di perdere fino a 90 mila euro al mese - concludono le minoranze -. Ci sentiamo in questo caso di appoggiare l’appello di sostenere la Fondazione con opere benefiche e con il versamento del 5 per mille: la casa di riposo è un bene prezioso della nostra comunità».
La risposta di Ats
Dopo il comunicato congiunto che i consiglieri di minoranza della liste Tu per Ponte, Ponte al Futuro e Gruppo Baraldi hanno diffuso per fare il punto degli emergenza Covid alla Rsa di Ponte San Pietro, ora è l'Agenzia di tutela della salute di Bergamo a dire la sua.
Fin dall'inizio dello stato di emergenza, l'agenzia afferma di essersi «attivata per coinvolgere i diversi soggetti sociosanitari territoriali, tra cui i gestori di servizi residenziali e semiresidenziali (Rsa, Cdi, Cdd), che hanno risposto in modo proattivo e collaborativo». Nella riunione con le associazioni delle Rsa che si è svolta in data 24 febbraio 2020 è stato comunicato che «non vi erano indicazioni provenienti da Regione Lombardia sulla chiusura delle strutture residenziali». Nella giornata del 26 febbraio Ats ha attivato un momento di confronto con Confcooperative (che rappresenta la quasi totalità degli erogatori di tali servizi), al fine di condividere indicazioni da fornire alle strutture sociosanitarie, tenendo presente le direttive regionali e ministeriali. Con circolare del 1° marzo, Ats ha inviato comunicazione in merito alla regolamentazione degli accessi in Rsa, «raccomandando l’adozione di tutte le specifiche misure di prevenzione da adottare con estrema attenzione». Con successiva nota del 10 marzo Ats ha richiamato quanto già stabilito da Regione Lombardia con nota del 5 marzo, in cui si indicava «la necessità di contemperare la continuità dell’erogazione dei servizi nel rispetto della libera scelta dei soggetti e dei familiari che ne usufruiscono, tenuto conto delle diverse situazioni epidemiologiche che caratterizzano le aree territoriali lombarde».
Infine Ats, con nota del 10 marzo, ha comunicato agli enti gestori che «le limitazioni e/o la sospensione delle attività delle unità d’offerta semiresidenziali potevano essere stabilite dai singoli soggetti gestori, in considerazione del numero degli operatori disponibili, degli utenti frequentanti le strutture nonché delle loro condizioni di salute»: «Tali decisioni - spiega l'Ats - avrebbero dovuto essere opportunamente e tempestivamente comunicate ad Ats, anche al fine di evitare ricadute penalizzanti sui gestori e utenti dei servizi. Nel caso in cui gli enti gestori avessero ritenuto opportuno garantire comunque l’apertura dei servizi, sono state fornite precise indicazioni circa l’opportunità di sospendere le attività di gruppo esterne, mantenendo le attività educative riabilitative in piccoli gruppi già programmate nei Piani individuali, e di prevedere per il pranzo, ove possibile, l’individuazione di spazi e/o orari differenziati, al fine di evitare il sovraffollamento. A seguito dell’emanazione del Decreto legge 17 marzo 2020, numero 18, Ats ha inviato, in data 18 marzo, apposita nota agli enti gestori con la quale è stato ripreso l’articolo 47, in base al quale veniva sospesa l'apertura delle strutture semiresidenziali nel rispetto dell’articolo 47 del citato Dl, indicazioni a oggi ancora in vigore. Ats subito ha attivato un call-center dedicato alle unità d’offerta sociosanitarie per rispondere a eventuali criticità poste dagli Enti gestori tuttora attivo. Le disposizioni di Ats sono state sempre rispondenti al dettato normativo degli organismi superiori, disposizioni che sono mutate nel tempo a causa del mutare del panorama epidemiologico e di diffusione del virus, che ha avuto un’evoluzione inizialmente non prevedibile».
In risposta alle accuse riportate dalle minoranze consiliari nel loro comunicato congiunto, Ats precisa inoltre «di non aver mai usato toni o atteggiamenti di minaccia verso nessuno e, a tutela della propria immagine, si riserva ogni approfondimento nelle sedi adeguate di quanto affermato da terzi interlocutori i quali saranno chiamati a rispondere delle proprie affermazioni».