Quali sono i posti migliori al mondo per essere una donna lavoratrice

In occasione della festa della Donna, qualche mese fa, l’Economist ha creato un interessante grafico interattivo che illustra la situazione delle donne lavoratrici in tutti i paesi del mondo. Lo scopo? Identificare le nazioni in cui il gentil sesso ha le migliori e più eque possibilità di lavorare e far carriera. L’analisi combinava dati sull’educazione di livello superiore e universitario, la partecipazione alla forza lavoro (ovvero, disoccupazione ed occupazione), i costi per la cura dei figli, i diritti di maternità, le iscrizioni a scuole professionali e la presenza in lavori qualificati.
E includendo anche i diritti garantiti ai padri. Cosa non secondaria, perché gli studi hanno mostrato che dove esiste una tutela parentale anche per i padri, le madri riescono a tornare al lavoro prima, l’occupazione femminile è migliore e le differenze di guadagno tra uomini e donne sono inferiori.
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Gli Stati migliori per una donna lavoratrice. Nel grafico, i punteggi di ciascuna nazione sono una media ponderata della situazione, basata su dieci indicatori. Senza alcuna sorpresa, gli Stati del Nord Europa – Islanda (new entry nella classifica), Norvegia, Svezia e Finlandia – occupano i primi posti. In queste nazioni, le donne sono presenti nella forza lavoro a livelli simili a quelli maschili. La Finlandia ha il numero più alto di donne che hanno conseguito un’educazione superiore o universitaria, superiore a quello degli uomini (il 49 percento delle donne ha una laurea, contro il 35 percento degli uomini). In Norvegia, il gap salariale è meno della metà del livello dell’OECD (le 35 nazioni che costituiscono di fatto l’Occidente). In Islanda, invece, le donne detengono il 44 percento delle posizioni nei quadri aziendali delle compagnie quotate in borsa.
E la rappresentanza nelle sale del consiglio e del comando dell’intera Scandinavia è simile. Norvegia e Islanda hanno anche quote alte di rappresentanza politica femminile, e lo stesso in Svezia, dove il 44 percento del parlamento è occupato da donne (rappresentanza a quote rose tra le più alte del mondo).
Caso strano invece quello dell’Ungheria, dove, nonostante la scarsa presenza in parlamento (10 percento) e nei quadri aziendali (11 percento), si ha il minore gap salariale tra uomini e donne, solo del 3,8 percento, e bassi costi per prendersi cura dei figli.
Le nazioni peggiori. In fondo alla classifica stanno invece Giappone, Turchia e Sud Corea, dove gli uomini si laureano molto più delle donne, hanno maggiore possibilità di ottenere un posto di lavoro e ottenere posizioni qualificate e di anzianità in azienda. E la differenza tra salari è altissima. In Giappone e Sud Corea il sistema parentale favorevole è prevalentemente una conseguenza dell’invecchiamento della popolazione e di una diminuzione nella forza lavoro. Ma si rimane comunque ben lontani dalle nazioni del Nord.
E l’Italia? In posizione 21, dopo la Repubblica Ceca e gli Stati Uniti e appena prima di Paesi Bassi e Grecia, presenta una differenza salariale che si attesta sull’11 percento, quattro punti sotto la media dell’OECD, mentre le donne nei quadri aziendali e in posizioni importanti sono solo il 23 percento del totale, e il 25 percento in posizioni di esperienza all’interno delle aziende. Del resto, stando al The Global Gender Gap Index del 2015, una ragazza italiana (poniamo di 27 anni) dovrebbe aspettare di compiere 145 anni per vedere il suo salario uguale a quello di un uomo (ammesso che la tendenza si mantenga uguale a quella degli ultimi anni). Del resto, ad ora, per ogni dollaro guadagnato da una donna italiana, un uomo ne porta a casa 1,69. E l’occupazione femminile è al 53 percento, contro il 74 percento di quella maschile. Eppure, la percentuale di istruzione è lievemente più alta per le donne. Già.