Proposta per risolvere il problema del turismo «mordi e fuggi» in città
Giorgio Gori, sindaco di Bergamo, nel programma elettorale per la sua rielezione, si è detto deciso a porre un freno alla trasformazione delle locazioni, vista l’esplosione, soprattutto in Città Alta, degli affitti turistici di breve durata. Per fare ciò chiederà un confronto con Regione Lombardia. Da una parte si vuole sviluppare il brand di Bergamo sul mercato internazionale, dall’altra si vuole aumentare la permanenza media per andare oltre a un turismo «mordi e fuggi». Ma come uscire da questo dilemma? Una soluzione ci sarebbe: creare una regia unica che offra una proposta articolata di turismo del territorio, dove non brillino soltanto Piazza Vecchia e Città Alta, ma anche tante bellissime località della provincia: San Pellegrino, Malpaga, Sarnico, Lovere, Clusone... Il forte sviluppo dei voli low cost ha dato la possibilità a tantissime famiglie con redditi medio-bassi di organizzare viaggi e spostarsi in Europa a prezzi vantaggiosi. E anche i collegamenti con i Paesi cosiddetti emergenti hanno fatto sì che i viaggiatori siano aumentati considerevolmente. Il viaggiatore low cost per coerenza cerca un alloggio che risponda alle proprie esigenze economiche e gli appartamenti sono la risposta adeguata. Forse, anche a Bergamo, un’analisi sull’identikit del viaggiatore che sbarca a Orio andrebbe calibrata meglio.
Il fatto è che in tutti questi anni le istituzioni non sono riuscite ad andare oltre ai ragionamenti di un turismo da business class (il più remunerativo per gli alberghi a 5 stelle), nel frattempo il popolo ha saputo meglio rispondere alle esigenze di quanti si sono messi in cammino. E i portali americani, sviluppando il concetto di disintermediazione, hanno saputo coniugare la domanda con l’offerta in tempo reale. Bisogna dare atto all’ex assessore al Turismo della Regione Lombardia, Mauro Parolini, che la nuova legge sul turismo regionale, almeno sulle case vacanza, è riuscita a dare una risposta flessibile per rendere legale ogni situazione. Ma, anche in questo caso, Comuni e Province non sono stati all’altezza della legge e hanno, ancora una volta, complicato la vicenda con un aggravio di burocrazia. Per aprire una casa vacanza - secondo la legge - basterebbe un’autocertificazione da presentare in Comune. Provate. Sarete respinti con perdite. Sarete costretti a formulare una "Scia digitale" che solo i più esperti informatici riusciranno a chiudere in tre giorni, per avere risposta di inizio attività dopo un paio di mesi. Nel frattempo potreste perdere un sacco di richieste provenienti dai siti specializzati.
Un’ultima questione la si può dedicare alla permanenza dei turisti a Bergamo. Chiediamoci: in quanto tempo si visita Bergamo? Qualcuno dice in mezza giornata. Se ci metti il pranzo o la cena, tre quarti di giornata. Nel resto dei giorni i turisti scelgono di visitare le città che stanno nel raggio di circa duecento chilometri dalla casa presa in affitto: Milano, Brescia, Verona e i laghi, Como, Iseo e Garda. Aumentare la presenza media, allora, cosa significa? Organizzare eventi di fama internazionale di lunga durata? Avere pronti itinerari per fare scoprire il territorio della Bergamasca in toto? Per questo servirebbe una macchina organizzativa con un unico centro direzionale. Bergamo riuscirà a unificare un progetto turistico che comprenda valli, laghi e pianura? Oppure ognuno andrà per la sua strada con un progettino legato al proprio comitato turistico locale? La vicenda è complessa, ma qualcuno se ne dovrà pur far carico. E speriamo che non sia una versione semplicemente bergamocentrica.
L’esplosione degli affitti brevi, in tema di turismo, è un fenomeno inarrestabile che riguarda l’Europa intera. Le città a maggiore vocazione turistica, in poco tempo, hanno visto trasformare i centri storici dove, a causa degli affitti che i privati offrono ai turisti per pochi giorni, i residenti locali in un breve lasso di tempo sono stati spodestati dai visitatori occasionali. I centri storici, come Venezia per esempio, soffrono lo spopolamento dei nativi con il conseguente aumento dei prezzi degli affitti tradizionali. Sono già dieci le città europee (Amsterdam, Parigi, Berlino, Barcellona, Bruxelles, Bourdeaux, Monaco, Cracovia, Valencia e Vienna) che chiedono a Bruxelles di mettere in agenda il tema della regolarizzazione degli affitti brevi. A queste si aggiungono anche Firenze e Venezia per l’Italia. Solo considerando Airbnb (ma non è l’unico portale specializzato per gli affitti delle case vacanza dei privati), dal 2016 al 2018 in tutta Italia i quattrocentomila appartamenti disponibili sono cresciuti del 78 per cento. La questione di un fenomeno difficilmente controllabile sta ponendo una serie di domande. Già a partire dal tema dell’emersione di un’attività che viene spesso bollata come «al nero». La Regione Lombardia ha, per esempio, posto l’obbligo della registrazione a Comune, Provincia e Regione (tramite Scia) e del codice identificativo per ogni immobile dato in affitto da esporre nelle pubblicità online. Inoltre, si è chiesto ai portali di farsi intermediari per prelevare alla fonte il 21 per cento della «cedolare secca» da versare all’erario. A complicare il tutto è intervenuta una sentenza della Corte di giustizia europea che ha accolto le ragioni di Airbnb, affermando che tali siti non sono paragonabili ad agenzie immobiliari, ma sono considerati piattaforme di servizi digitali. Quindi non devono effettuare alcuna delle forme fiscali richieste dallo Stato.
Così ogni Paese si difende da solo. Per esempio, ad Amsterdam gli appartamenti privati possono essere affittati per non più di trenta giorni all’anno e possono ospitare massimo quattro persone alla volta. A Barcellona è possibile affittare solo due stanze per appartamento, massimo per quattro mesi all’anno, a condizione che il proprietario vi risieda. A Berlino, l’affitto privato da riservare ai turisti è consentito per novanta giorni all’anno. A Parigi il limite è di centoventi giorni all’anno e gli immobili devono essere iscritti su un registro pubblico. In Italia B&B e case vacanza che operano in forma non imprenditoriale devono sottostare alla regola di uno stop di novanta giorni da comunicare agli enti istituzionali per ogni anno di attività. Quindi si può operare per nove mesi. Così anche in Lombardia. Un’opportunità che ha notevoli margini di sviluppo, da non sciupare.