A fine ottobre un accordo di pace duraturo?

Il punto su Gaza City

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È passato quasi un mese e mezzo da quando a Gaza è entrata in vigore la tregua. Dal 26 agosto Israele e Hamas hanno cessato le ostilità ma la situazione rimane quella dell’emergenza protratta. L’Unrwa (l’agenzia dell’Onu per il Soccorso e l’occupazione) e l’ong Popular Committee against the siege (Comitato popolare contro l'assedio) hanno divulgato dati drammatici. Dopo l’operazione israeliana su Gaza, denominata Margine Protettivo, ci sono ancora oltre 110mila sfollati, quasi la metà dei quali hanno trovato rifugio in 18 strutture delle Nazioni Unite. Il reddito pro capite è drasticamente diminuito a un dollaro al giorno, ed è il tasso più basso da quando Israele ha imposto il blocco nel 2007. Il 95% dell’acqua non è potabile, oltre un milione e mezzo di persone dipendono dagli aiuti per sopravvivere, e la disoccupazione ha raggiunto il 65%.

Due fatti hanno segnato questo mese e mezzo di tregua: l’assassinio dei due palestinesi accusati di aver ucciso i tre giovani coloni ebrei e l’accordo tra Hamas e Fatah per la formazione di un governo di unità nazionale.

L’assassinio dei due palestinesi. La notte tra il 22 e il 23 settembre l’esercito israeliano ha ucciso i due palestinesi sospettati di essere i responsabili del rapimento e dell'uccisione dei tre giovani ebrei lo scorso giugno nei pressi di Hebron. Amer Abu Aisha e Marwan Qawame, questi i nomi dei due giovani, erano ricercati da mesi e sono stati uccisi a Hebron durante uno scontro a fuoco in un blitz durante il quale i militari hanno sfondato porte di abitazioni private e hanno fatto brillare alcune cariche. La mattina successiva, la delegazione palestinese presente al Cairo per i negoziati indiretti ha lasciato l’Egitto. L’agenzia di stampa egiziana Mena ha riferito che la delegazione si è quindi riunita per individuare una risposta comune al "nuovo crimine israeliano". Qualche giorno prima l’esponente di Hamas, Musa Abu Marzouk, aveva dichiarato all’agenzia di stampa palestinese Maan che le trattative indirette tra Hamas, le altre fazioni palestinesi e Israele sarebbero cominciate al Cairo prima del 24 settembre, e che la ricostruzione di Gaza sarebbe stata portata avanti dall'Onu in coordinamento con il governo di unità palestinese e con Israele.

L’accordo tra Hamas e Fatah. Sempre nel corso dei colloqui indiretti del Cairo i vertici di Hamas e Fatah, islamici i primi e laici i secondi, hanno raggiuto un accordo per la ricostituzione di un governo di unità nazionale anche nella Striscia di Gaza, "inclusivo di tutte le fazioni palestinesi". L’incontro del Cairo è avvenuto per potersi presentare uniti ai colloqui fissati per la fine di ottobre con il governo israeliano, che dovrebbero portare a un accordo di pace duraturo. Si tratta di un accordo che dovrebbe dare concretezza a quanto già stabilito a giugno, ma mai entrato in vigore per le retate israeliane dell’operazione Brother’s Keeping prima e l’operazione Margine Protettivo poi.

Dal 25 settembre il nuovo governo di unità nazionale, presieduto da Abu Mazen, ha preso il controllo della Striscia di Gaza, del valico di Rafah e del corridoio Philadelphia adiacente alla frontiera con l’Egitto. Inoltre l’Anp pagherà gli stipendi dei 45 mila ex dipendenti del governo di Hamas (27 mila civili e il resto militari). Il capo della delegazione di Hamas, Musa Abu Marzouk, ha commentato: «L'accordo con Fatah è molto importante. I palestinesi potranno raggiungere una vera unità e riconciliazione». I moderati di Fatah, a capo del governo, avranno il compito di trattare con Israele per la ricostruzione di Gaza sotto la supervisione dell’Onu.

L’Assemblea dell’Onu. Durante l’Assemblea generale dell’Onu, il premier israeliano Benyamin Netanyahu e il presidente palestinese Abu Mazen hanno tuttavia tenuto discorsi che non sembravano portatori di pace.

Abu Mazen ha parlato in modo molto duro. Ha accusato Israele di aver condotto una “guerra di genocidio” nella Striscia di Gaza, e ha dichiarato che «non si può tornare ai negoziati senza la fine dell’occupazione colonialista e razzista» e che «ancora una volta (gli israeliani) non hanno perso occasione di far fallire le trattative». Ha inoltre lanciato un appello a tutta l’Assemblea chiedendo che il Consiglio di Sicurezza approvi una risoluzione con un “calendario preciso”, per la fine dell’occupazione israeliana e l’istituzione dello Stato palestinese. «Ritornare ai negoziati del passato è sbagliato», ha aggiunto, precisando che gli insediamenti di Israele distruggono l’opzione dei due Stati e che quanto prima «si deve porre fine al vergognoso blocco israeliano di Gaza».

La reazione israeliana non si è fatta attendere. Il ministro degli Esteri Avigdor Lieberman ha dichiarato che «il discorso di Abu Mazen all’Onu chiarisce di nuovo e in maniera netta di non voler e di non poter essere un partner per un accordo politico ragionevole» e che il leader di al-Fatah, che ha dato vita a un governo di unità nazionale con Hamas, «dimostra una volta in più di non essere una persona di pace, ma uno che continua la politica di Arafat con tattiche diverse».

Anche gli Stati Uniti non hanno gradito l’intervento di Abu Mazen: un portavoce del Dipartimento di Stato ha definito “deludente” quanto espresso dal presidente dell’Anp, che «mina gli sforzi per arrivare alla pace».

Da parte sua, il Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, ha espresso forte preoccupazione per le sorti della pace in Medio Oriente, in particolare per la politica israeliana degli insediamenti. Nel corso di un incontro con il primo ministro israeliano Benyamin Netanyahu ai margini dei lavori dell'Assemblea generale, Ban ha sottolineato «il bisogno urgente di affrontare le cause alla radice della crisi tra cui la rimozione del blocco della Striscia e anche di venire incontro alle legittime preoccupazioni di sicurezza di Israele».

Il premier israeliano Netanyahu ha infine accusato il Consiglio dei diritti umani dell'Onu di "difendere" Hamas e di essere contro Israele, perché non ha indagato su quanti hanno usato strutture delle Nazioni Unite per colpire Israele. Alle Nazioni Unite ha poi sottolineato il ruolo fondamentale degli Stati arabi nel far avanzare la pace tra Israele e i palestinesi e ha affermato che un avvicinamento tra Israele e Paesi arabi «può aiutare a risolvere il conflitto». A proposito delle vittime civili durante l’ultima guerra su Gaza, Netanyahu ha osservato che «Israele ha fatto di tutto per limitare le vittime civili a Gaza, Hamas ha fatto di tutto per aumentarle».

Obama incontra Netanyahu. Mercoledì 1 ottobre il presidente americano Barack Obama ha incontrato il presidente israeliano Netanyahu. «Lo status quo tra israeliani e palestinesi deve cambiare» ha detto Obama a Bibi, ribadendo la necessità che gli sforzi vadano in questa direzione e che le condizioni sulla Striscia di Gaza cambino in modo che gli israeliani possano vivere sicuri senza che si ripeta la tragedia della morte di centinaia di bambini palestinesi.

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