1.527 feriti, tre gravi

Qualche domanda sul caso Torino (che si poteva evitare, eccome)

Qualche domanda sul caso Torino (che si poteva evitare, eccome)
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Sabato 3 giugno, finale di Champions League Juventus vs Real Madrid, stadio di Cardiff, Galles. Finisce 1-4 per il Real, la coppa non è bianconera. Ma questo poco conta. A millesettantatré chilometri aerei di distanza, 30mila juventini sono radunati in Piazza San Carlo a Torino, che è larga 12.768 metri quadrati, circondata da porticati ed edifici storici che hanno, nel più recente dei casi, qualche secolo. In mezzo, la statua equestre di Emanuele Filiberto, ché è terra di Savoia. All'uscita nord della piazza, il megaschermo su cui viene proiettata la partita.

 

 

Non si capisce cosa succede, ma a un certo punto qualcuno sente delle esplosioni sul lato destro, qualcuno invece un grido: «Bomba!», qualcuno ancora cedere le ringhiere che proteggono i sottopassaggi per il parcheggio sotterraneo. Forse era un petardo. Forse qualcuno che ha minacciato stupidamente di farsi esplodere. La causa scatenante non si conosce. Sta di fatto che la folla stipata tra i porticati eleganti si muove, fa un vuoto in un punto, la Questura dice «all’altezza dei civici 195-197», e poi parte l'onda. Che è panico e pericolo puro. In terra ci sono i vetri delle bottiglie vuote e rotte (portate da casa? Comprate dagli ambulanti abusivi?), nella calca tanti perdono le scarpe, qualcuno viene calpestato dagli altri, la paura impedisce di ragionare: si pigia, si cerca di nascondersi dentro ai portoni buttati giù, ci si perde, si perdono le scarpe, le mamme non sanno dove sono i bambini (una foto a disastro finito mostra un passeggino abbandonato). Il sangue sulle maglie della Juve si mischia con quello degli altri. La folla si riversa nelle strade, nei vicoli, dove può. Suona i campanelli, si nasconde negli androni, chiede aiuto. Lascia per terra zaini e borsette, che qualcuno addirittura proverà a svuotare dopo: sciacalli.

 

 

Il bilancio è di 1.527 feriti, tre in condizioni gravi (uno è Kelvin, un bimbo cinese di sette anni, le altre, con un forte trauma toracico, sono due donne, di 26 e 64 anni). Gli ospedali di Torino si attivano, sui grandi corsi cittadini è un viavai immediato a sirene spiegate. Si fa fatica a portare soccorso e ad evacuare i feriti, per via di quella conformazione a imbuto che ha preso la piazza con il megaschermo (uno solo) messo come un tappo sull'uscita che va a nord. Nessun morto. È andata bene. Ma qualche domanda bisogna farsela.

La prima è per la Juve. Ed è semplicissima. I tifosi del Real avevano a loro disposizione il Bernabeu. Perché la società bianconera non ha accolto i suoi fedelissimi su curve e tribune del J-Stadium? Questo avrebbe permesso controllo agli ingressi, di certo una maggiore sicurezza, dato l'edificio predisposto ad accogliere tifosi e in genere grandi masse di persone. Certo, si sarebbero spesi dei soldi per attivare tutto lo stadio un'intera serata, possibilmente non a pagamento e dunque a perdere. Ma era la finale di Champions, ed era la Juve: possibile non ci fossero fondi? Anche perché la scelta ha di fatto addossato al Comune l'onere economico e alla cittadinanza torinese quello urbano e "vitale" di accogliere una tale folla di persone. E - pure se non fosse successo nulla - di mettere a rischio la città. O anche solo di doversi accollare la gestione della pulizia finale.

 

 

La seconda è per il sindaco Appendino. Torino non è una città facile da governare, siamo d'accordo. Ma svegliarsi il giorno dopo, al rientro da Cardiff, e ricordare a tutti che l'incombenza era stata assegnata a Turismo Torino e specificare che tutto era stato fatto come nel 2015, presenta una serie di errori. Il primo politico: l'effetto scaricabarile non suona mai troppo bene, quando ci si trova nei panni di tutore e guida di una città. Appendino, anche un «perdonateci abbiamo sbagliato» andava bene, eh. E poi: le stesse misure del 2015? Ma come. Nel frattempo il mondo ha conosciuto la psicosi terrorismo, spuntano esaltati della violenza ogni giorno, le stesse misure non vanno più bene. Tanto più se le stesse misure (qui e qui l'ordinanza) non implicano alcuna restrizione se non quella al traffico e non citano nemmeno per sbaglio misure di sicurezza precise - distribuzione di vetro compresa - che vengono invece demandate a un generico «adeguato personale» di sorveglianza. 30mila persone in una piazza chiusa su praticamente tre lati, con una densità di due persone a metro quadro. Ma che, davvero?

 

 

Postilla secondaria: ma perché un sindaco non tutela la sua città? Le vie di Torino e una delle sue piazze più belle erano un devasto a cielo aperto, il giorno dopo. Certo, vietare il megaschermo avrebbe sortito insulti e disprezzo di ogni genere da parte dei tifosi, ma perderci in popolarità per farsi garante della propria città e dei propri cittadini al di là dei capricci di tutti e delle demagogie non è doveroso, da parte di chi governa?

La terza domanda è per carabinieri, polizia and co. Fate un lavoro difficile, chiaro. Ma non li avete visti gli ambulanti abusivi? Lo so, non è piacevole scacciare la gente, mettersi a litigare, ma tocca a voi, no? Stare a farvi la lezione ora, col senno del poi, è sgradevole, ovvio. Ma non si poteva chiudere la piazza qualche ora prima, assicurarsi che dentro non ci fosse nessuno a distribuire vetro, presidiare tutti gli ingressi e perquisire ciascun tifoso? I controlli sono stati, invece, sommari e casuali. Eppure al Salone del Libro - per restare in città - ciascuna borsa viene aperta (custodie degli occhiali comprese), tutti si viene esaminati dal metal detector manuale e quasi tutti si sopporta - per due secondi, via! - la perquisizione. Ma pure al concerto di Tiziano Ferro (tasso di pericolosità: meno cinquanta?) il tappo delle bottigliette di plastica (sottolineo: di plastica) si lascia all'ingresso, che se volano piene e chiuse sulla folla e colpiscono qualcuno fa male.

 

 

La quarta domanda è per i tifosi. Stare tutti insieme è bello, ma la cautela non è poi una brutta virtù. Da sempre, e ben prima della psicosi terrorismo (se vogliamo continuare a chiamarla così, la paura), le folle sono pericolose. Soprattutto se stipate in luoghi troppo piccoli per contenerle, in posti non adatti a loro. Perché mettersi nei guai? L'aria che si respira la si intuisce subito. A metà partita qualcuno si era già ferito coi vetri, ben prima del panico. E bastava guardarsi in giro, per capire di essere in una situazione a rischio. Perché non scegliere di andarsene in un posto sicuro e godersi la partita, anche non da soli?

Altra domanda ai tifosi: il sindaco deve tutelarvi, la Juve aprirvi lo stadio, i carabinieri proteggervi. Ma le bottiglie di vetro le avete comunque comprate o portate voi e l'allarme insensato veniva ancora da voi: non si poteva evitare?

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