“Quando tutto è in pausa”: il documentario che racconta la quarantena vista dai ragazzi
La videomaker di Cerete Silvia Berretta ha scelto un taglio inedito per raccontare l'isolamento. Una "videolezione" di umana sensibilità, lontana dalle polemiche e vicina ai dubbi e alle attese di quattordici ragazzi che vivono tra la Bergamasca e il Bresciano
di Giambattista Gherardi
«È stato come prendere un pugno in faccia, da qualcuno che ti diceva: ecco, vedi quanto è importante l’amicizia e stare con gli altri? Ora non puoi più». Sono le parole di Alessandra, una delle protagoniste del documentario Quando tutto è in pausa realizzato dalla giovane videomaker seriana Silvia Berretta. Se nei giorni della pandemia ci sono virologi che hanno deciso di scrivere “instant book” e reporter che hanno scandagliato, con qualche enfasi eccessiva, cronache e polemiche politiche, Silvia ha scelto di raccontare tutto con l’efficace semplicità di quattordici studenti, fra i 15 ed i 20 anni, residenti in Valle Seriana, sul Sebino e nella confinante provincia di Brescia.
Silvia sino a qualche tempo fa ha lavorato nella redazione di Teleclusone, storica emittente privata dell’Alta Val Seriana, mentre ora è impiegata presso il Centro di Formazione Professionale dell’ABF a Clusone. «Quello che era il mio precedente lavoro - spiega Silvia - è diventato la mia passione. Per rendere concreto il mio progetto era essenziale raccogliere le sensazioni, le emozioni e i racconti dei ragazzi nei giorni in cui vivevano questa strana situazione. Un racconto postumo sarebbe senz’altro stato diverso e forse meno efficace. È stato decisivo cogliere l’attimo». In successione nel video (prodotto ad aprile senza fini di lucro) appaiono Alessandra, Alessia, Lorenzo, Gabriele T., Emanuele, Alessandro, Lara, Nicoletta, Teseo, Gabriele B., Valentina, Mattia, Gianluca e Giacomo.Ai loro volti e ai loro racconti, Silvia ha unito immagini tratte dai telegiornali e prime pagine dei quotidiani, ma anche immagini mute del centro di Cerete, il paese della Val Borlezza in cui vive. «Tecnicamente, non è stato facile: i ragazzi erano costretti a casa, ma lo ero anch’io. Pertanto dovevo consigliarli sulle inquadrature e su luci accettabili, ma per inserire anche immagini “in esterna” ho dovuto rigorosamente limitarmi ai luoghi entro i 200 metri da casa, raccogliendo comunque i vuoti emblematici lungo le strade, le ambulanze, gli avvisi affissi all’esterno della scuola».
Ecco allora che un tricolore a mezz’asta che dialoga con lampioni che diventano salici assume uno spessore di grande intensità, scevro da qualsiasi sottolineatura autoreferenziale, ma utile a lasciare spazio a racconti semplici e profondi. Quando tutto è in pausa comunica stupore, offre volti a immaginazione e fantasia, racconta di piccole scoperte nell’ambito domestico, di sentimenti e di aspettative. Un documentario girato dentro le case, ma anche dentro ciascuno di noi.