215 milioni nel 2013

Quanto ci costano le intercettazioni

Quanto ci costano le intercettazioni
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Quante volte, fra giornali, televisioni e quant’altro, si sente parlare delle intercettazioni telefoniche? Tantissime, senz’altro; d’altra parte, il nostro Paese è particolarmente tenuto sotto controllo, da questo punto di vista, dalle forze dell’ordine: nel 2013, ad esempio, sono stati ben 141mila i bersagli “ascoltati”, parlando in termini di singole persone; altrimenti, tenendo conto che la gran parte dei soggetti origliati appartiene ad organizzazioni criminali e quindi è in possesso di uno svariato numero di telefoni, il dato sarebbe ancor più corposo.

Addirittura più sorprendenti sono i numeri relativi ai costi di questa massiccia opera di spionaggio: sempre relativamente all’anno 2013, le spese per le intercettazioni hanno sfiorato i 215 milioni di euro. Per di più bisogna considerare che, anche in questo settore, abbondano gli sprechi.

In attesa di una legge, si pensa alle spese. Il Governo ha da tempo annotato in agenda una legge che regoli i rapporti fra necessità di indagini e privacy dei cittadini, ma per il momento ancora non è stato prodotto nulla; nel frattempo, in attesa di regole chiare, si può solo ragionare sui costi.

Anzitutto, un dato positivo: dal 2005 ad oggi, le spese relative ad intercettazioni telefoniche sono diminuite del 10 percento, pur con un aumento del 40 percento dei bersagli; numeri positivi, quindi. Ma le buone notizie si fermano qui: un’analisi dei dati relativi alle singole città mostra palesi disparità di costi che non si spiegano facilmente. Per fare un esempio: Roma quest’anno ha tenuto sotto controllo telefonico 18.777 soggetti, spendendo poco più di 5 milioni e mezzo di euro; Catania, invece, pur con molti meno bersagli (6.217) ha speso il doppio, 10 milioni di euro. Sicuramente, bisogna considerare i tipi di intercettazioni utilizzati, diversi da località a località: quelle condotte in Sicilia, indispensabili contro la mafia e per la ricerca dei latitanti, sono estremamente lunghe; di contro, quelle che si fanno a Roma, collegate a indagini più circoscritte, durano meno di tante altre.

Questo comunque non spiega come mai città con le stesse necessità riguardo a tecnica e tempistica di Catania, come ad esempio Reggio Calabria, pur con circa lo stesso numero di bersagli spendano molto di più (per quanto riguarda il capoluogo calabrese, 8.000 intercettati circa e 26 milioni di euro di spesa). Oppure che città come Bari e Lecce, con un numero di controllati esiguo (rispettivamente 3794 e 3409) spendano pressappoco le stesse cifre di Roma, che tiene sotto controllo sei volte tante persone.

Le possibili risposte. Una possibile soluzione a queste discrepanze di spese, secondo un progetto sostenuto dalle ex Guardasigilli Paolo Severino e Annamaria Cancellieri, riguarderebbe un gestore unico nazionale: quest’ipotesi ha però sollevato numerose critiche, vista la conseguente instaurazione di un enorme sistema di controllo che da sé terrebbe d’occhio (anzi, d’orecchio) l’intero Paese; prospettiva che non piace a tutti.

Nel frattempo, l’Avvocatura dello Stato ha emesso un parere in cui consiglia una gara unica nazionale, suddivisa per lotti su base geografica: spetterebbe cioè al Ministero della Giustizia indire l’appalto e suddividerlo, per permettere a più società del settore di aggiudicarsi la gestione di una determinata zona, fissando così un prezzo unico ma senza legarsi ad una sola società. E le procure non sarebbero più stazioni appaltanti, ma semplici fruitori di un servizio. Esternalizzare sembra essere l’unica soluzione ormai plausibile: le forze dell’ordine, sempre più ridotte in numeri e possibilità, non hanno alternativa se non affidarsi a servizi provenienti da fuori. Esiste già un’associazione, chiamata Iliia, che riunisce le aziende che si occupano di installazione, produzione, assistenza tecnica e servizi di noleggio di attrezzature per ogni tipo di intercettazione (il tutto, naturalmente, solo sotto commissione di un’autorità giudiziaria).

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