Quell'assalto a Villa Masnada a Mozzo fu una trappola per i partigiani (nove vennero uccisi)
Annamaria Paganelli rievoca in un libro una delle pagine più tristi della Resistenza bergamasca, che si verificò all'alba del 26 settembre 1944. Il ruolo di un burattinaio misterioso
di Paolo Aresi
Era l’una di notte del 26 settembre del 1944, i partigiani scesero dal colle verso la Villa Masnada, alle Crocette di Curno e rimasero sdraiati tra i filari di uva. Raccontò il partigiano Abramo Recchia: «Era una notte stellata, ma molto umida, abbiamo aspettato che venisse l’ora di andare all’attacco, lì, nell’erba».
L’obiettivo di quel manipolo di giovani, una ventina del gruppo Valbrembo delle Fiamme Verdi, erano le armi che si pensava fossero custodite nella villa. La vicenda si risolse tragicamente e rappresentò una delle pagine più terribili della Resistenza bergamasca: alla fine, nove partigiani persero la vita e l’incursione rappresentò un totale fallimento. La vicenda è stata ricostruita da Annamaria Paganelli che ne ha fatto un libro pubblicato da “Il Filo di Arianna/Calendario 19”. Sottotitolo del libro: Villa Masnada, 26 settembre 1944.
Annamaria Paganelli ha ricostruito quella pagina lontana e fondamentale di storia della lotta partigiana bergamasca per una ragione ben precisa: «I contorni sfuocati dell’episodio della Resistenza bergamasca noto come “assalto a Villa Masnada” mi accompagnano sin dall’infanzia. Reduce dalla campagna di Russia, mio padre scelse la lotta clandestina e della Resistenza conservò i documenti... di quella lotta tuttavia non raccontò che pochi frammenti: alcune frasi sul combattimento dopo un colpo fallito; che il suo amico colpito gli morì tra le braccia; che si salvò a Ponteranica con i comandanti, nel seminario dei Padri Sacramentini... percepivo nella sua voce un misterioso rammarico e ricordo le visite alla famiglia del compagno caduto».
Il padre dell’autrice, Paolo Paganelli, partecipò all’assalto di Villa Masnada. Ma perché quel «misterioso rammarico»? Negli anni Novanta - riferisce l’autrice - il padre scrisse un documento in cui racconta della sua partecipazione all’assalto e al successivo conflitto a fuoco di Petosino, ma il suo racconto di quel tremendo 26 settembre «diverge in molti aspetti dalla ricostruzione fino a oggi accreditata».
È stata la molla che ha innescato il desiderio di approfondire la questione, di fare chiarezza. Nell’introduzione scrive Angelo Bendotti, dell’Istituto bergamasco per la storia della Resistenza e dell’età contemporanea (che ha patrocinato la pubblicazione): «Un libro amaro, molto amaro, ma da annoverarsi tra quelle opere sulla Resistenza bergamasca che meritano considerazione, oltre che per il rigore scientifico, per il coraggio di interpretare Villa Masnada come "l’emblema perfetto di un infido intreccio di inganni", "Una precisa pianificazione di sabotaggio delle bande ribelli, ordita da un burattinaio che manovra nell’ombra i fili delle sue marionette”». L’ombra lunga del tradimento. Che non riguarderebbe soltanto questo episodio, ma anche altri. Ma chi era questo burattinaio?
L’assalto alla Villa Masnada avvenne a opera di un gruppo di partigiani della brigata “Valbrembo” delle Fiamme Verdi, gruppo guidato da un prete, don Antonio Milesi, detto “Dami” che era curato della parrocchia di Villa d’Almè. La villa era occupata da un presidio militare di genieri tedeschi delle SS: avevano il compito di controllare la produzione della Caproni. Si trattava di trenta militari che partivano alla mattina presto per raggiungere la fabbrica e rientravano la sera. Secondo le informazioni, alla villa restavano solamente due sentinelle. Pareva che nella dimora fosse custodito un deposito “di armi, munizioni e viveri” e che ci fossero pure “due camion e un cannoncino”. Insomma, un luogo molto appetibile, tanto più che risultava assai poco difeso. Si avvicinava l’inverno: i partigiani avevano bisogno non solo di armi, ma anche di viveri e vestiario. Poteva esserci occasione più ghiotta? Nel parco della villa c’erano persino due camion perfetti per il trasporto del bottino... Con il senno di poi, la situazione appare talmente favorevole da sembrare una trappola. E di trappola davvero si trattò. (...)