Dalle Sentinelle in piedi alla circolare del Ministro

La questione nozze gay, spiegata

La questione nozze gay, spiegata
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Gli ultimi giorni sono stati molto caldi per quanto riguarda la questione delle nozze gay in Italia. Da tempo se ne parla a fasi alterne, con la politica che a volte ne discute e altre volte (la maggior parte) preferisce tacere e far fare a magistratura e manifestazioni di piazza. Proprio una manifestazione di piazza, domenica 5 ottobre, ha riacceso i riflettori sulla questione: in tutta Italia sono scesi in piazza i rappresentanti delle cosiddette Sentinelle in piedi, ovvero persone fortemente contrarie ai diritti omosessuali e che hanno deciso di manifestare la loro libertà di opporsi all’omosessualità con una manifestazione silenziosa e pacifica, stando semplicemente in piedi nel più assoluto silenzio. Libera espressione, per di più pacifica, ma che non ha fatto certo piacere alla comunità omosessuale italiana. La politica si è interessata della questione il giorno successivo, lunedì 6 ottobre, quando, a Milano, il consiglio comunale ha inoltrato al sindaco Giuliano Pisapia la richiesta formale di iscrivere all'anagrafe le unioni tra persone dello stesso sesso celebrate all'estero. È stata la miccia che ha riacceso la discussione.

Martedì 7 ottobre, il Ministro dell’Interno è intervenuto alla radio Rtl 102.5 e, su precisa domanda riguardante il riconoscimento delle nozze gay contratte all’estero da parte di alcuni primi cittadini, ha risposto in modo molto chiaro: «Firmerò una circolare che invierò ai prefetti per chiedere la cancellazione delle trascrizioni. Queste, fatte da alcuni sindaci, non sono conformi alle leggi italiane». Detto, fatto: nella stessa giornata la circolare è stata inviata a tutti i Prefetti affinché cancellino le trascrizioni già avvenute in alcuni comuni. Molti sindaci però, guidati da quello di Bologna, Virginio Merola, si sono opposti alle imposizioni del Ministro: «Se vogliono annullare gli atti delle trascrizioni dei matrimoni contratti all'estero lo facciano. Io non ritiro la mia firma. Lo facciano, ma non nel nome di Bologna, che come sindaco rappresento. Io non obbedisco».

La tesi di Alfano. Seppur il tema rappresenti, in modo alquanto evidente, un campo di scontro etico e tra visioni sociali divergenti, è sul diritto che si combatte questa “battaglia” politica e giudiziaria. Secondo il Ministro Alfano la questione è molto semplice: la legge italiana non prevede il matrimonio tra coppie dello stesso sesso, anzi, la stessa Corte Costituzionale (con sentenza 15 aprile 2010) ha precisato che l’articolo 29 della Costituzione non impone assolutamente il riconoscimento delle unioni omosessuali, anzi, probabilmente lo vieta fino a quando il legislatore non interverrà con una disposizione specifica. Allo stesso tempo, il nostro Paese non prevede l’istituto dell’unione civile registrata presente in diversi altri Stati dell’Unione Europea. L’Italia è rimasto l’unico Stato, tra i fondatori dell’Ue, a non riconoscere alcun tipo di diritto all’unione tra coppie dello stesso sesso. Per questo motivo, fino ad oggi, le trascrizioni di matrimoni tra coppie omosessuali contratti all’estero sono state negate, invocando il limite dell’ “ordine pubblico”, concetto assai elastico che permette di negare l’ingresso di valori che metterebbero in crisi l’ordinamento italiano. È però da sottolineare che il concetto di “ordine pubblico” può esser valutato in maniere assai varie: in Belgio, ad esempio, i cittadini la cui legge nazionale vieta il matrimonio omosessuale, come quella italiana, sono comunque ammessi al matrimonio perché si ritiene che tale legge contrasti proprio con l’ordine pubblico.

La tesi dei sindaci. Contro la circolare di Alfano, come detto, si sono schierati fermamente diversi sindaci italiani, che hanno deciso di riconoscere come validi i matrimoni, contratti all’estero, delle coppie omosessuali. A guidare la protesta è il sindaco di Bologna Virginio Merola, supportato però anche dai primi cittadini di Parma, Grosseto, Empoli, Napoli e Udine. Giuridicamente, a parere dei sindaci, c’è una precisa direttiva comunitaria, del 2004, che prevede la validazione dei matrimoni celebrati e riconosciuti all’estero. E poiché la norma comunitaria prevale sulla norma nazionale, è pieno diritto delle coppie omosessuali vedersi riconosciuto, anche legalmente, il matrimonio celebrato all’estero. Ciò è vero, ma solo in parte: la direttiva in questione, infatti, afferma che il coniuge (non importa il sesso) sia equiparato ad un familiare a tutti gli effetti, con i diritti che ne conseguono, ma, allo stesso tempo, il Consiglio Europeo ha precisato che «il riconoscimento di tali situazioni deve basarsi esclusivamente sulla legislazione dello Stato membro ospitante». Tradotto: se lo Stato in cui si richiede la trascrizione del matrimonio prevede le nozze tra omosessuali, non ci sono dubbi sullo status di familiari delle due persone e lo stesso vale se lo Stato in cui si richiede la trascrizione prevede le unioni civili. Così non è per quegli Stati che, invece, non prevedono nessuna delle due ipotesi, com’è per l’Italia. In questo caso la coppia omosessuale ha gli stessi diritti di una coppia eterosessuale convivente. I sindaci però, giustamente, affermano che la direttiva in questione fa riferimento solamente allo status con cui vengono identificati i due membri della coppia, e non invece ai loro diritti: questo mancato riconoscimento dei diritti delle coppie omosessuali vìola il divieto di discriminazione dell’articolo 3 della Costituzione italiana e l’articolo 14 della Carta Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU). La stessa Corte Costituzionale, nella sentenza del 2010 già citata, lascia aperto lo spiraglio per un battaglia giudiziaria per l’eguaglianza dei diritti (non, invece, per l’eguaglianza degli status) facendo leva su queste norme.

In conclusione, dal punto di vista normativo, si giunge a due certezze: la discriminazione tra coppie di fatto omosessuali (quindi la violazione dei loro diritti in quanto esseri umani, cittadini italiani e cittadini comunitari) e coppie di fatto eterosessuali è vietata; ma l’esclusione delle coppie omosessuali dall’istituto del matrimonio in uno Stato è lecita. Una strada senza uscita, in cui hanno ragione sia coloro che respingono la validità dei matrimoni omosessuali celebrati all’estero, sia coloro che sostengono la necessità di riconoscere i diritti di queste coppie. L’unica verità è che, ancora una volta, la politica, invece che affrontare la questione con una legge chiara, preferisce delegare alla magistratura, lasciando una lacuna che gli amministratori locali tentano ragionevolmente di colmare. Forse è giunto il momento di dare una risposta certa, positiva o negativa che sia.

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